Scola: «L’intelligenza della fede diventi intelligenza sulla realtà»

Di Massimo Giardina
02 Dicembre 2011
La lectio magistralis dell'arcivescovo di Milano nell'apertura dell'anno accademico alla Facoltà Teologica di Milano. Il richiamo a una «pastorale che non può essere una riduzione pragmatica» e l'invito agli studiosi e ai sacerdoti affinché «sia divulgato il pensiero teologico. Ce n'è bisogno».

L’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, è tornato ieri pomeriggio in un ambiente accademico teologico: realtà che per anni l’ha visto studente a Friburgo, professore e in seguito rettore della Pontificia Università Lateranense.
Come successore di Sant’Ambrogio, il cardinale è anche Gran Cancelliere della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e in questa veste ha aperto l’anno accademico con una lectio magistralis intitolata: «Per un’antropologia drammatica». Introdotto dal preside di Facoltà, monsignor Franco Giulio Brambilla, neo eletto vescovo di Novara, e dal preside dell’Istituto Superiore di Scienza Religiose, don Alberto Cozzi, l’arcivescovo ha strutturato la sua lezione in tre parti. 

Nella prima ha ripercorso i passi fatti dalla Facoltà grazie al lavoro contenuto nelle pubblicazioni dei propri docenti. «Ho sempre seguito con interesse la produzione della Facoltà Teologica. La scuola di Venegono, con i suoi maestri illustri, è stata capace di affrontare problematiche decisive, di cui il lo stesso Concilio Vaticano II si è poi fatto interprete». Scola ha poi citato Giovanni Paolo II e «la condizione dolorosa dell’uomo contemporaneo»: per il teologo a capo della Chiesa milanese, «nel farsi carico nella condizione dell’uomo contemporaneo, è necessario che l’intelligenza della fede diventi intelligenza sulla realtà».
Nel secondo passaggio, il cardinale ha sviluppato una personale interpretazione dell’esperienza umana e della correlazione tra storia e verità. Nella citazione di Karol Wojtyla in “Persona e atto”, afferma Scola: «Eppure esiste qualcosa che può essere chiamato esperienza dell’uomo, in quanto basato sull’intera continuità dei dati empirici. Oggetto dell’esperienza è non soltanto il momentaneo fenomeno sensibile, ma anche l’uomo stesso, che emerge da tutte le esperienze ed è anche presente in ciascuna di esse». E, in seguito: «L’atto costituisce il particolare momento in cui la persona si rivela. Esso ci permette nel modo più adeguato di analizzare l’essenza della persona e di comprenderla nel modo più compiuto. Sperimentiamo il fatto che l’uomo è persona, e ne siamo convinti poiché egli compie atti».
Scola ha posto l’attenzione su quell’esperienza comune che declina in «integrale ed elementare» e che vede come suo fattore imprescindibile «la relazione con il mondo, se stesso e Dio». Questo livello di esperienza emerge nel vissuto: gli affetti, nel lavoro e il riposo.
L’arcivescovo si è soffermato sulla dimensione degli affetti: «la drammaticità nell’affetto quale carattere originario dell’amore che è un darsi, rivela l’apertura all’altro e genera una fecondità (…). È un cercare per riconoscersi in una differente polarità».

Nella terza e ultima parte, il cardinale ha affrontato, in qualità di pastore, la funzione della teologia nella Chiesa. Da una parte richiamando al fatto che «la pastorale non può essere una riduzione pragmatica», dall’altra parte spronando i sacerdoti teologi affinché «sia divulgato il pensiero teologico. Ce n’è bisogno».
Alla fine della Lectio, Scola si è intrattenuto con i docenti e ha successivamente presieduto la Santa Messa nella Basilica di San Simpliciano. 
Twitter: @giardser

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