
Scabini: «Siamo sull’orlo del disastro, solo la famiglia ci può salvare»
«Se oggi non risolviamo il problema dello squilibrio generazionale tra giovani e vecchi e non poniamo rimedio all’invecchiamento progressivo della popolazione, se non consideriamo che a lungo termine gli investimenti fatti a favore della famiglia, si traducono in capitale umano e guadagno concreto per la società, hai voglia a fare tagli». E’ stato presentato oggi Il cambiamento demografico, rapporto-proposta del Progetto culturale Cei realizzato da diversi studiosi italiani e che propone come via d’uscita dalla crisi, come ha detto il sociologo Pierpaolo Donati, «una rivoluzione copernicana che faccia ripensare tutte le politiche sociali mettendo al centro le esigenze dei nuclei familiari». Nel futuro prossimo, secondo il rapporto, sempre meno giovani sosterranno il mercato del lavoro e il welfare, fenomeno causato dalla bassa natalità e dalla carenza di generatività confermata dalla crescita dei “single” e delle persone che non si sposano. Se la situazione va avanti così, come ha dichiarato a Tempi.it Eugenia Scabini, preside della facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, che ha partecipato al progetto, «puoi alzare le tasse quanto vuoi, ma non si uscirà dalla crisi».
In che modo la crisi di natalità influisce sulla società e che cosa c’entra con la crisi economica che stiamo vivendo?
La crisi economica colpisce e danneggia soprattutto le famiglie, che sono il centro dello sviluppo di una società perché le permettono, in tutti i sensi, di andare avanti. Lo sviluppo di una società è dato da tanti fattori: c’entrano le risorse economiche disponibili ma soprattutto il capitale umano. In una società è fondamentale l’equilibrio tra le generazioni, tra giovani e vecchi, che alterandosi crea problemi drammatici. E’ sufficiente vedere oggi la questione delle pensioni: sono i giovani a pagarle ma l’invecchiamento della nostra popolazione è progressivo e se non si risolve questo problema hai voglia a fare i tagli, non basteranno.
Che cosa c’entra il capitale umano con la famiglia?
Chi genera il bene che il capitale umano rappresenta? La famiglia. Il calo di nascite, alla lunga, crea un disastro economico che diventa un problema insormontabile. Però non illudiamoci che il problema sia solo “quantitativo”, non basta, anche se sarebbe già qualcosa, avere tanti giovani.
In che senso?
Nel senso che i numeri ovviamente rappresentano un problema ma la famiglia non genera appena nuove persone, le educa anche. Di fatto, consegna alla società una persona matura, che è tale per merito di un lungo processo di educazione, di trasferimento di valori e modi di vivere: questo fa di un essere umano una persona adulta e matura, un capitale umano appunto.
Però sono sempre e solo i cattolici a dirlo.
Non è vero e non è un problema di fede. Ad esempio, il premio Nobel per l’Economia James Heckman, che ha scritto un articolo sulla “Ricchezza delle famiglie”, sostiene che la famiglia e le relazioni che si stabiliscono al suo interno rappresentino a lungo termine un guadagno per la società. Cioè, i soldi che si investono per sostenere la famiglia e il suo ruolo educativo, a lungo termine, si trasformano in guadagno per la società, perché concretamente le risorse investite si traducono in cittadini più capaci, più maturi, che creano valore economico e sociale. Lui, che è un economista, ci è arrivato a ritroso: ha visto, cioè, che le persone che più mettono in difficoltà le società, che la impegnano di più anche economicamente, sono quelle che hanno alle spalle famiglie compromesse e problematiche. Da qui la conclusione che la famiglia deve essere sostenuta dai governi perché rappresenta la vera risorsa per il futuro.
E voi avete fatto delle proposte concrete?
Certo. I pilastri sono: equità nell’imposizione tributaria e nelle politiche tariffarie, conciliazione famiglia-lavoro, contratti relazionali, offerta di servizi per i tempi di cura e di assistenza familiare e politiche abitative a misura di famiglia.
Qual è l’obiettivo del rapporto?
La prima cosa è cominciare a far riflettere le persone, ma non sul breve termine, perché è già pieno di rapporti dell’Istat sulla natalità o sui divorzi. Però questi non fanno capire alla gente quali sono gli effetti sociali a lungo termine dei fatti che descrivono. E invece bisogna cominciare a pensarci, perché i politici vivono di consenso e quindi saranno sempre portati a fare piccole riforme che danno sollievo nell’immediato, a volte, ma che non risolvono mai il problema a lungo termine. Oggi c’è un crollo della natalità, bene, quali sono gli effetti che questo causerà tra 30 anni?
Per fortuna c’è l’immigrazione.
Ecco, questo è un ottimo esempio di luogo comune che il rapporto mira a sfatare. Bisogna ragionare a tutti i livelli. Gli immigrati non sono davvero una soluzione, prima di tutto perché anche loro si stanno piegando al nostro modo di vivere, anche perché i problemi che riscontriamo noi, li riscontrano anche loro. E quindi anche il loro tasso di natalità si sta abbassando. E poi perché dipende dal tipo di immigrazione che c’è in un paese: sono tantissimi quelli che guadagnano e mandano i soldi all’estero, così che l’economia non gira lo stesso. Il rapporto, quindi, vuole innescare innanzitutto una presa di coscienza.
Qual è allora il messaggio centrale del rapporto?
Se non si mette al centro la famiglia come soggetto capace di generare e di educare le nuove persone che andranno a comporre la nostra società, se non realizziamo un piano nazionale sussidiario per la famiglia, ci possiamo scordare il benessere. E’ inutile alzare le tasse nel breve, non cambierà niente, non ci farà uscire dalla crisi. In questo rapporto non ci sono solo numeri e grafici, possono leggerlo tutti, anche perché alla base c’è una visione culturale e antropologica precisa.
Cioè?
Che cos’è il benessere di una società e di un individuo? Per noi non è solo consumo. La realizzazione di una persona e di una società passa attraverso la riuscita delle relazioni primarie come quelle familiari e dalla capacità di agire in modo responsabile nei confronti delle generazioni future. Sia in modo diretto, con l’educazione, sia in modo indiretto, creando le strutture e le opportunità perché possano crescere.
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