Due anni dopo l’assassinio islamista di Samuel Paty la Francia ha più paura

Di Mauro Zanon
16 Ottobre 2022
Sempre più docenti si autocensurano o lasciano la scuola dopo essere stati minacciati di fare la fine del professore decapitato per avere mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo
Samuel Paty Macron
21 ottobre 2020, il presidente francese Emmanuel Macron accanto al feretro di Samuel Paty (foto Ansa)

Parigi. «Il vostro prof, lo sporco ebreo, deve smetterla di fare il furbo. Altrimenti farà la fine di Samuel Paty, sia lui che suo padre, il vecchio rabbino sionista. Ci occuperemo di lui all’uscita dal liceo». È questo il contenuto di una lettera anonima arrivata pochi giorni fa in un liceo di Évry-Courcouronnes, nel dipartimento dell’Essonne. Siamo nella banlieue di Parigi, in un comune simile a quello in cui insegnava Samuel Paty, docente di storia e geografia del collège du Bois d’Aulne a Conflans Sainte-Honorine, decapitato all’uscita dalla scuola da un terrorista islamico, il ceceno Abdoullakh Anzorov, per aver mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo su Maometto.

L’islamismo nelle scuole, un problema in crescita

Anche a Évry-Courcouronnes il bersaglio delle minacce è un professore di storia e geografia, ora costretto a vivere sotto scorta. A due anni esatti dalla morte di Samuel Paty, la situazione nelle scuole francesi è drammatica. Come scrive Didier Lemaire, professore di filosofia di Trappes minacciato per aver denunciato l’islamizzazione strisciante negli istituti francesi, «la paura e la codardia hanno preso il sopravvento».

«Due anni dopo l’assassinio di un professore calunniato, trattato come un islamofobo e un razzista anche da alcuni suoi colleghi, e abbandonato dalla sua gerarchia, nonché costretto a proteggersi da solo con un martello nello zaino e una maschera sul volto (…) la paura e la codardia hanno preso il sopravvento», ha scritto sul Figaro Lemaire, prima di aggiungere: «Salvo poche eccezioni, non si trovano insegnanti disposti a parlare a volto scoperto della pressione costante che viene esercitata sulla scuola. Una pressione che spinge all’autocensura, al silenzio, alle dimissioni».

C’è un misto di rabbia, impotenza e rassegnazione nelle parole di Lemaire, dinanzi a una situazione che continua a peggiorare. Al di là dei grandi discorsi e delle cerimonie per omaggiare i tanti “ussari della République”, come li chiamava Jules Ferry, alla stregua di Samuel Paty, non c’è stato nessun sussulto, nessuna vera reazione al problema dell’islamismo nelle scuole. Si tende sempre a minimizzare, a dire che si tratta di casi isolati, quando in realtà si è di fronte a un fenomeno in espansione e che rischia, presto o tardi, di non essere più controllabile.

Tutti gli insegnanti hanno in mente Samuel Paty

Secondo un rapporto ufficiale del ministero dell’Istruzione francese, soltanto nel mese di settembre ci sono state 313 segnalazioni per episodi di violazione della laicità, metà dei quali collegati all’islam. «Tutti gli insegnanti hanno in un angolo della loro testa Samuel Paty», ha dichiarato al Figaro Didier Georges, rappresentante del sindacato scolastico Snpden-Unsa, citando la testimonianza di un preside terrorizzato dall’idea di finire come il professore di storia e geografia di Conflans-Sainte-Honorine e per questo contrario a imporre divieti agli allievi musulmani, come l’interdizione dell’uso delle abaya e dei qamis, gli abiti islamici tradizionali. «Non riesce a non pensare a Samuel Paty, che è stato decapitato per molto meno», ha raccontato Georges.

Il ministro dell’Istruzione, Pap Ndiaye, dice che «la République è più forte di TikTok», che i fenomeni comunitaristi sono «limitati a piccoli gruppi», ma la realtà è ben diversa ed è stata denunciata, peraltro, da una nota del Comitato interministeriale di prevenzione della delinquenza e della radicalizzazione (Cipdr). Secondo il documento, reso pubblico dal settimanale L’Express a fine agosto, è in corso da diversi anni «una strategia di entrismo da parte della galassia vicina ai salafiti e ai Fratelli musulmani, volta a favorire le pratiche e i riti religiosi all’interno della scuola repubblicana». E i professori che osano denunciare queste derive sono obbligati ad abbandonare l’insegnamento o ad autocensurarsi.

«Farai la fine di Samuel Paty» è una minaccia quotidiana

«Due anni dopo l’assassinio di Samuel Paty – un semplice fatto di cronaca per alcuni, una sfortunata tragedia di cui nessuno è responsabile – non si può dire che nulla è cambiato. Non si può contare su alcun ministero per sapere quanti ministri sono stati realmente zittiti per evitare situazioni incontrollabili. Solo nella piccola città di Trappes eravamo in tre», testimonia Didier Lemaire. «Je ve te faire un Samuel Paty», farai la fine di Samuel Paty, è diventata una minaccia pressoché quotidiana in certe scuole di banlieue. E intanto, il padre di Abdoullakh Anzorov, l’assassino di Paty, mostra sul suo account Instagram un affresco che celebra il figlio come un “eroe”, accanto ad altri combattenti islamici ceceni.

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