
Sadif, pugile afghana che non voleva essere una «vittima», non potrà andare alle Olimpiadi
Il pass speciale che le aveva fatto sognare un posto all’Olimpiade di Londra le è stato revocato. Pochi giorni fa la decisione dell’Aiba, associazione che organizza il pugilato dilettantistico, ha sentenziato l’esclusione dai giochi a cinque cerchi di Sadaf Rahimi, ragazza afghana di 18 anni ammessa al torneo femminile di boxe.
Sembrava già aver scritto un pezzo di storia: la prima donna afghana a partecipare al primo torneo olimpico di pugilato femminile. Invece nulla da fare: la giovane aveva usufruito di una “wild card” che il comitato organizzativo mette a disposizione per quelle nazioni che non hanno potuto partecipare alle qualificazioni. Ma qualche giorno fa, gli è stata revocata: troppo netto il divario con le altre atlete, potrebbe mettere a rischio l’incolumità dell’atleta afghana.
Peccato davvero per Sadaf, le cui vicende sportive uniscono speranze e contraddizioni degli ultimi 10 anni del suo Paese, l’Afghanistan. Inutile dire delle difficoltà di una ragazza a praticare uno sport tipicamente maschile in una nazione a forte componente islamica, dove la fine del regime talebano non ha abbattuto la sudditanza delle donne nei confronti degli uomini.
Alla boxe si è avvicinata per caso, nel 2002, attratta dalla figura di Muhammad Alì, che con l’Onu quell’anno fece visita all’Afghanistan: ma è alla figlia del grande Cassius Clay, Laila Alì, che Sadaf si è soprattutto ispirata. Come lei, voleva diventare pugile professionista: per questo cerca i video su internet della pugile americana e coltiva sogni sempre più grandi.
Poi, grazie all’aiuto di una Ong e ai fondi di Oxfam, nel 2007 Sadaf diventa pugile a tutti gli effetti: un progetto di queste associazioni porta due allenatori afghani nella sua scuola, per cercare ragazze interessate a partecipare ad una squadra di boxe femminile sperimentale. Lei ci va, nonostante suo padre all’inizio non voglia, e di mese in mese cresce, arrivando a guadagnarsi il miracoloso pass per le Olimpiadi. A vedere le foto dei suoi allenamenti, c’è da rimanere a bocca aperta. Nella sua palestra, non ci sono neanche caschetti e guantoni a sufficienza: le atlete se li devono passare, combattendo su ring tirati insieme alla bell’e meglio, dove non ci sono neanche le campanelle che battono la fine del match. «Sono stanca di sentire che il mondo guarda alle donne afghane come vittime», raccontava in un’intervista al Time prima dell’esclusione dai giochi. «Combattendo voglio mandare un messaggio al mondo: le ragazze afghane non sono vittime. Sia che vinca una medaglia o meno, diventerò un simbolo del coraggio non appena salirò sul ring».
Ma lo scorso maggio la sua partecipazione ai Campionati Mondiali di boxe femminile è stata estremamente deludente: contro la polacca Drabik è durata meno di 1 minuto e 20 secondi, dopo di che l’incontro è stato sospeso. La sua Federazione è rimasta delusa, ma sperava comunque di poterla mandare a Londra. Invece, pochi giorni fa la decisione dell’Aiba: troppo netto il divario, Sadif Rahimi non sarà ai giochi. Il sogno della ragazza afghana si è interrotto sul più bello.
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