Sacrificò la vita per il figlio Down. E adesso grazie a un fondo di ricerca a lui dedicato «salverà altre persone»

Di Benedetta Frigerio
26 Marzo 2015
Così la scelta eroica di un padre è diventata linfa vitale per la Fondazione Jerome Lejeune. Allo studio una cura per la trisomia efficace durante la gravidanza

bambina-sindrome-down-shutterstock_210505618Un fondo di 250 mila dollari per la ricerca sulla sindrome di Down. È uno dei frutti più eclatanti del sacrificio commovente di un uomo che ha dato la vita proprio per salvare il figlio affetto da trisomia 21. Sovvertendo la logica di un mondo ormai abituato a “scartare” questi bambini “malati” a esclusivo vantaggio dei “sani”, nel 2008 Thomas Vander Woude, allora 66enne, è morto per salvare la vita di Joseph, il figlio 20enne nato con la sindrome di Down. Scivolato nella fossa biologica della fattoria di casa, il ragazzo è sopravvissuto solo grazie al sacrificio del padre, che si è immerso nel liquido tossico per sollevarlo sopra di sé permettendogli di non soffocare fino all’arrivo dei soccorsi. Che per Thomas, però, non hanno potuto fare nulla.

UNA «CONTRADDIZIONE». Quello stesso anno Penny Michalak, un’amica di famiglia, aveva dato alla luce una bimba affetta dalla stessa malattia di Joseph, e dopo quei fatti eroici e tragici, profondamente colpita, ha deciso di aprire a Luisville, Kentucky, un’associazione (Angels in Disguise) che si occupa di aiutare le famiglie dei bambini come la sua. Adesso, sette anni dopo l’avvio, la donna ha potuto avviare un fondo dedicato all’amico Thomas Vander Woude per sostenere la ricerca di cui si occupa la Jérôme Lejeune Foundation, fondazione che prende il nome dal medico francese “servo di Dio” che scoprì la trisomia 21: «Crediamo che la ricerca per le persone con la sindrome di Down sia molto importante», ha detto Penny Michalak al National Catholic Register. «E a quale persona intitolare il fondo se non Thomas Vander Woude, un eroe delle persone affette dalla sindrome di Down?». Il sacrificio di quell’uomo, ha spiegato, sembra una «contraddizione» in una società che non dà alcun valore ai più deboli e ai malati: «Ecco, questo padre si è tuffato nella fossa biologica e ha tenuto sollevato il figlio per un lasso di tempo quasi impossibile (…). Suo figlio deve aver significato qualcosa per lui. Spero che la nostra donazione iniziale si sviluppi e diventi qualcosa di grande». L’obiettivo del fondo è garantire alle ricerche appoggiate dalla Fondazione 250 mila dollari l’anno.

LA RICERCA AVANZA. Il presidente della Jérôme Lejeune Foundation Usa, Mark Bradford, ha illustrato come verranno utilizzati i soldi, riassumendo gli ultimi passi avanti compiuti dalla ricerca e i prossimi obiettivi: «Quello che potrebbe accadere è che, con un test prenatale svolto alla decima settimana di gestazione, alla donna sarà data la possibilità di cominciare un regime di trattamenti con una terapia antiossidante per il bambino», grazie alla quale, secondo Bradford, la gravidanza potrebbe risultare in «una nascita quasi normale». La cura, già sperimentata sui topi nati con un cromosoma 21 in più, ha avuto successo in laboratorio. Grazie al trattamento le cavie, ha spiegato Bradford, «si comportano quasi allo stesso modo dei topi selvatici non affetti dalla trisomia». Per questo il presidente della Fondazione annuncia fiducioso che «la morte di Tom Vander Woude, con questo fondo in sua memoria che accelererà scoperte capaci di migliorare le vite, ne salverà e ne aiuterà altre».

@frigeriobenedet

Foto bambina da Shutterstock

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