Rugby, Italia-Irlanda. Ricordate i 15 Titani che nel 1997 espugnarono Lansdowne Road?

Di Cristian Lovisetto
22 Febbraio 2012
Sabato all'Aviva Stadium l'Italia affronta l'Irlanda. Un buon motivo per ripercorrere una delle maggiori imprese della nostra nazionale. Era una serata piovosa e fredda, eravamo privi dei nostri uomini migliori e più rappresentativi e tutto sembrava mettersi contro di noi. Ad un certo punto, pareva quasi che avremmo potuto accontentarci di un'onorevole sconfitta.

Se parli a un amico o a un conoscente dell’anno 1997 potrebbe dire tante cose: muore Lady D, muore Versace, c’è l’aviaria… tutte cose allegre insomma! Dai, è stato l’anno anche del Premio Nobel di Dario Fo, dell’ascesa di Clinton e Blair (ok, Clinton al secondo mandato, ma pur sempre una vittoria) e dello scudetto alla Juventus.

In pochi però sanno che il 1997 è stato l’anno decisivo per la Nazionale Italiana di rugby, l’anno in cui stupimmo il mondo e battemmo un colpo forte, fortissimo (quasi come una penetrazione di Dewet Barry) all’Europa del rugby che conta. Ecco, quei pochi che però ricordano qualcosa degli avvenimenti rugbistici parleranno subito di Grenoble, dell’impresa più grande della nostra storia e della rivincita di Georges Coste, francese venuto ad allenare in Italia e sbeffeggiato alla frontiera dai doganieri, convinti di un inutile viaggio al massacro azzurro. Ecco, bravi, ve lo ricordate, ma l’impresa azzurra non può limitarsi a quel match. Il 4 gennaio a Lansdowne Road l’Italia compie un altro piccolo miracolo, sconfiggendo i padroni di casa dopo un match coraggioso e combattuto in un clima da tregenda.

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Andiamo con ordine, però. Italia e Irlanda si sfidano il 4 gennaio per preparare due tornei diversi: i verdi sono in piena preparazione in vista del 5 Nazioni, l’Italia vede alle porte la possibilità di conquistare la coppa FIRA il 22 marzo, giorno della finale di Grenoble con la Francia. Il clima al di là della Manica non aiuta certo chi vuole cimentarsi in una competizione sportiva: un test con il Galles viene annullato e così il match di Dublino diventa quasi un test da dentro o fuori, capace di sancire il fallimento o il trionfo di una spedizione azzurra piena di speranza e di voglia di stupire.

Il 4 gennaio è una serata piovosa e fredda, non l’ideale per una partita dicevamo, ma in grado di trasformare una possibile vittoria in qualcosa di epico, qualcosa da tramandare a nipoti e parenti vari. L’Italia si presenta in campo senza il vero genio, il mai dimenticato Ivan Francescato, e senza il capitano per eccellenza, Massimo Giovanelli, frenato da un infortunio alle costole e in collegamento telefonico dalla “sua” Tolosa.

Il match inizia e l’arbitro Davies fa capire subito come gireranno le cose: se gli azzurri vorranno vincere il match, dovranno sudare più del dovuto e non sgarrare in ruck. L’apertura Bourke ringrazia e porta avanti i suoi. Dominguez fallisce un piazzato da 55 metri, ma poi si ripaga lanciando a tutta velocità il ventunenne Stoica nello spazio: sventagliata al largo e Vaccari fa il buco all’ala. Paolino si dimostra uno dei giocatori più in forma del momento e riesce a schiacciare in mezzo ai pali. Si va su 7-3, ma Bourke ricuce con un altro piazzato.

Non serve molto per vedere l’ulteriore reazione azzurra: da touche conquistata da Croci nei 22 irlandesi si procede a picconate, erodiamo il terreno e Massimo Cuttitta schiaccia col pallone nel marsupio. Se ci pensiamo ora che allora si segnavano due mete in mezz’ora all’Irlanda in casa sua un po’ di nostalgia sale, è normale. Dominguez piazza anche il 17-9, poi Davies da una manina ai padroni di casa e piazza 3 calci consecutivi per il 18-17 che chiude il primo tempo.

Nel secondo tempo ci si aspetta la fine dei sogni di gloria azzurri, secondo tanti non abituati a reggere questi ritmi per troppo tempo. Invece avanziamo ancora, in ruck ci facciamo rispettare e teniamo in scacco gente come Foley, Wood e McIvor. Passiamo in vantaggio con un altro piazzato di Dominguez, al quale però risponde ancora Bourke.

Passa qualche minuto e c’è la svolta: calcio di Bourke in profondità, sulla quale arrivano Pertile e Vaccari, che però non si intendono tra loro e lasciano campo e palla al centro Bell che fugge in meta. I titoli di coda sono lì, inevitabili. Non servirebbe poi molto a farli partire una volta per tutte. Non sarebbe poi male portare a casa una sconfitta onorevole dallo stadio con la metropolitana sotto e con le tribune in legno a ricordarti che saranno sempre lì ad aspettare una tua sconfitta.

Peccato che 15 titani (come titolerà la Gazzetta il giorno dopo) non ci stiano a perdere. Gardner suona la carica, Troncon si prende sulle spalle l’intera mischia e porta i suoi a giocare nei 22 irlandesi. E in tutto questo Paolo Vaccari ci mette ancora la firma con un’altra meta. Dominguez trasforma e a 10 dal termine siamo ancora avanti, anche se di un solo punto (30-29). Ti aspetti la furente reazione verde, fatta però solo di frenesia e di errori. Gli azzurri tengono duro con lucidità, anzi, ricacciano indietro a suon di pedate i padroni di casa. E all’ultima azione arriva la vera consacrazione degli eroi: gli irlandesi hanno l’ultima occasione di salvare la faccia. Già, per loro perdere con una Nazionale fatta di sedicenti parvenus è prima di tutto sinonimo di onta e vergogna. Peccato che commettano un errore pacchiano: la palla, al limite dell’area, viene persa da un irlandese e Bordon è un gatto a ributtarla indietro. Buttiamo fuori la palla? Macché: la palla passa per Mazzuccato e Orlandi che con un sottomano meraviglioso per lucidità e precisione serve Dominguez che va in bandiera: chi se non lui poteva chiudere il match, lui che ci aveva tenuto in linea di galleggiamento? Viene sollevato da terra e portato in trionfo, lui e i suoi 22 punti, mentre uomini col barbone e lo sguardo truce (leggi: Cristofoletto) sembrano bambini sotto l’albero di Natale. Vittorio Munari, che commentava il match per la televisione, grida “è finita!”. Ed è davvero finita, è finita la tempesta. E il bravo ammiraglio Coste ci porta fuori dalla tempesta, verso lidi migliori.

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