Ruanda. Misericordia e perdono sono possibili dopo un genocidio?

Di Redazione
18 Maggio 2016
Padre Stanislaw Filipek, missionario polacco nel paese africano da 30 anni, racconta la sua esperienza: «Tutti mi chiedono: "Chi dovrebbe perdonare per primo?"»
epa04156387 (FILE) A file photo dated 22 August 2003 showing the mummified remains of some of the thousands of people that were killed at Murambi Technical School in southern Rwanda during the 1994 genocide in which an estimated 800,000 Tutsi and moderate Hutu Rwandans perished. The school is now a memorial site to the tragedy that engulfed this tiny country just over nine years ago. On Monday, 07 April 2014 leaders including UN Secretary General Ban Ki-moon will gather in Kigali, Rwanda, to remember the events in 1994, when around 800,000 Rwandans were brutally killed in a three-month campaign by the Hutu-led government against the Tutsi population. EPA/STEPHEN MORRISON

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La misericordia non è un argomento come un altro in Ruanda, dove nel 1994, in soli 100 giorni, sono state massacrate 800 mila persone, in una delle più grandi tragedie umane dell’Africa e della storia. Ma è proprio sulla divina misericordia di Dio che il missionario polacco padre Stanislaw Filipek si è concentrato per curare le ferite di un popolo con il quale vive da 30 anni.

«DIO PUÒ SISTEMARE TUTTO». «Cristo si è rivelato a suor Faustina tra le due guerre mondiali in un momento di profonda disperazione, quando il popolo era afflitto dal male fatto. E proprio in quel momento, quando tutto era perduto e andato in rovina, Dio si è rivelato come misericordioso. Dio può sistemare tutto. Può trasformare il male in bene. Siamo sempre invitati a impararlo e questo è il filo rosso del nostro lavoro pastorale in Ruanda», ha raccontato padre Stanislaw a Aid to the Church in Need.

CHI DEVE PERDONARE PRIMA? Quando si parla di misericordia e perdono, continua il missionario, oggi in Ruanda tutti fanno la stessa domanda: chi dovrebbe perdonare per primo? «Non c’è una risposta», ammette padre Filipek, «ma io ripeto sempre: chi è più saggio, chi è più vicino a Dio, deve imparare a perdonare. Chi perdona non perde mai, anzi, può solo vincere». E come diceva san Giovanni Paolo II, «l’arte della misericordia di Dio consiste nel portare alla luce il bene anche in un’esperienza di male».

FALSA TESTIMONIANZA. Per esemplificare, il sacerdote polacco racconta un caso ruandese: «Una giovane donna ha testimoniato il falso contro un uomo perché un complice potesse impossessarsi della sua casa. Quella testimonianza ha portato a una condanna in carcere di otto anni. Lui ha sofferto molto e gli è nato un forte desiderio di vendetta. In carcere però ha fatto il suo incontro personale con Gesù, si è convertito e ha cominciato un percorso di riconciliazione».

CONVERSIONE E PERDONO. Quando la coscienza della donna che l’aveva fatto condannare ha cominciato a risvegliarsi, «dopo essersi fatta aiutare da un sacerdote, ha capito che aveva bisogno di chiedere perdono. Così è cominciato un lungo processo di ricerca dell’uomo in tutte le carceri del paese. Quando ha scoperto che era uscito, trovò la sua casa e spaventata, non sapendo come avrebbe reagito, andò a chiedergli perdono. “Ti ho perdonata molto tempo fa”, le rispose lui. “Volevo vendicarmi all’inizio, poi mi sono convertito e ho capito che Dio mi ha guidato attraverso una via crucis difficile ma che infine mi ha liberato. Così ti ho perdonata”. Lui l’ha abbracciata e l’ha baciata. Ora sono amici. Dopo che la società è stata fatta a pezzi e divisa dal genocidio, vediamo che solo la misericordia di Dio può essere risposta e antidoto a tutto questo male».

Foto Ansa

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