
Il rogo tutt’altro che distopico di J. K. Rowling

«Se sei stufo dei romanzi scritti da autori transfobici, prova il mio romanzo Manhunt, scritto da una donna trans per un pubblico trans. Le lesbiche trans si innamorano e scopano e uccidono delle terf, uomini selvaggi fanno razzia in terre selvagge, J. K. Rowling muore, etc».
Ricordate la campagna abbonamenti del Nyt, quella strana esca per nuovi abbonati al nuovo «giornalismo indipendente» che invitava nelle stazioni della metropolitana di Washington a «immaginare Harry Potter senza il suo creatore»? Ebbene, Gretchen Felker-Martin è una transgender americana che ha deciso di pubblicare per Tor Nightfire (nel gruppo del gigante editoriale Macmillan) un libro in cui si racconta che J. K. Rowling è morta, bruciata viva, nel suo castello scozzese. E ben le sta, dato che le protagoniste del suo Manhunt, horror post-apocalittico psico-sessuale, sono due trans che in un’America in rovina danno la caccia ad ex umani e lottano contro orde di terf assatanate e bestie alimentate a testosterone (in una parola: uomini).
Dicesi terf una “trans-exclusionary radical femminist”, ossia una persona che pensa che donne si nasce e il sesso biologico è reale, una come J. K. Rowling, contro la quale le redazioni dei giornali liberal adorano esercitarsi al tiro al piattello e gli utenti social lanciare minacce di morte. Perché allora non trasformare la notizia del lancio di un libro, che la vuole morire impazzita e avviluppata dalle fiamme durante l’apocalisse di genere, in un ennesimo attentato alla causa transgender?
Rowling viene bruciata e la vittima è chi appicca il fuoco
Gretchen Felker-Martin riesce a far morire carbonizzata J. K. Rowling e subito dopo indossare i panni della vittima perseguitata denunciando il bombardamento di recensioni negative lasciate dalle terf (spiace reiterare l’uso dell’acronimo che è diventato a tutti gli effetti un insulto “bandito” da testate come l’Economist) su Amazon e Good Reads, invitando chi è dalla sua parte a “bilanciare” gli attacchi con valutazioni positive. Nulla di strano nel mondo alla rovescia: come insegna il Regno Unito, dove le donne si chiamano “menstruator”, il ciclo è di “all genders”, il pap test si fa a “persone con la cervice”, si allatta “al petto” e non al seno, e negli ospedali del Nhs prima di una radiografia viene chiesto agli uomini se sono in dolce attesa, l’oppresso è sempre trans.
E la pazza a cui negare premi e recensioni, da cancellare dalle pagine dei giornali, i giochi in scatola, dal materiale promozionale dei film nati dai suoi libri, a cui interdire perfino la partecipazione alle celebrazioni dei 20 anni dall’uscita del film del suo Harry Potter, è sempre lei: J. K. Rowling. Una che nell’ultimo anno ha «ricevuto così tante intimidazioni che potrei tappezzarci casa», quella casa di Edimburgo dove la scrittrice vive con marito e figli davanti alla quale si sono presentati tre attivisti trans, Richard Energy, Georgia Frost e Holly Stars, per inscenare una protesta da immortalare sui social badando fosse ben visibile l’indirizzo.
Peggio di Depp solo le streghe Rowling, Stock, Bindel
Non potendola mandare al rogo in un campus o costringerla alle dimissioni, come accaduto alle altre “streghe” Kathleen Stock, Germaine Greer, Julie Bindel, Selina Todd, Suzanne Moore (qui l’elenco di docenti, femministe, giornaliste perseguitate dallo squadrismo trans, molte delle quali costrette a girare con la scorta), la vendetta contro la Rowling si consuma online e tra le pagine di libri e giornali: solo due settimane fa il Guardian ha scritto che il putiferio suscitato da quel picchiatore di mogli (definizione del Sun) di Johnny Depp o di Ezra Miller, accusati rispettivamente di abusi domestici e molestie, non è che acqua fresca rispetto a quello scatenato dalla Rowling con le sue opinioni critical-gender.
Dopo di che è stato costretto a modificare l’articolo spiegando che il contenuto non intendeva affatto minimizzare le azioni di Depp o Miller, confermando l’assurdo: peggio di un presunto aggressore c’è solo una donna quotidianamente aggredita perché capace di rara ironia e sostegno alle donne discriminate.
L’imperdonabile peccato di amicizia dei nemici di Stonewall
Se infatti il “caso Rowling” ha inizio col caso “Maya Forstater”, una commercialista che perse il lavoro per aver criticato il gender (e a cui è stata data ragione anche dall’Alta Corte inglese), oggi prosegue col “caso Allison Bailey“, avvocata lesbica che ha osato denunciare il racket ideologico di Stonewall e del suo famigerato programma Diversity Champions (abbandonato anche dal governo inglese e da enti quali Ofcom, l’Equality and Human Rights Commission, Channel 4, Ofsted, ministero della Giustizia…). «Impantanata nella questione trans», la lobby Lgbtq+ più potente d’Europa è infatti da mesi nei guai a causa di inchieste condotte dal Times e da giornalisti della Bbc circa i condizionamenti esercitati sulle istituzioni del paese (Tempi aveva raccontato la vicenda qui), ma ad essere accusata di «suscitare l’odio all’interno della nostra comunità», per citare Linda Riley, attivista Lgbtq+ e fondatrice della Lesbian Visibility Week, è ancora una volta J. K. Rowling.
Alla quale non si perdona il “peccato di amicizia” con Bailey e nemmeno il pranzo organizzato questo mese con le donne “che se la ridono della furia trans” (Times): quindici in tutto, riunite allo stesso tavolo di un ristorante per difendere libertà di espressione e buon senso, da Forstater a Bailey, da Stock a Bindel. Donne cancellate, annientate, licenziate, minacciate per aver difeso la specificità femminile e sostenuto affermazioni pericolosissime, quali «solo le donne hanno una cervice». Un’eresia da punire con pugno duro e minacce di morte qui ed ora, altro che rogo accidentale in un libro post-apocalittico.
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