
Rondoni: Mario Luzi e l’apertura al mondo «come avvenimento costante»
Il 19 settembre 1914 nasceva Mario Luzi, poeta cristiano tra i più famosi della generazione post-Eugenio Montale. Dalla sua prima esperienza con La barca, del 1935, fino all’ultima della Dottrina dell’estremo principiante,, del 2004, il vate fiorentino del Novecento ha saputo raccontare una storia personale e cosmica insieme, di un singolo e di una nazione intera. In occasione del suo novantottesimo compleanno – il poeta è venuto a mancare il 28 febbraio 2005 – tempi.it ha voluto ricordarlo con un’intervista a Davide Rondoni, poeta e giornalista.
Mario Luzi è stato un suo maestro.
Ho frequentato molto spesso Mario Luzi, sebbene sia per me difficile impiegare la parola “maestro”. È il secondo che mi ha incoraggiato a seguire la mia vena dopo Giorgio Caproni. La caratteristica più affascinante della persona di Luzi, e di conseguenza della sua opera, è la traduzione di un’apertura al mondo come “avvenimento”, un’apertura al mondo come mistero che continuamente si fa, si crea. L’esperienza, di conseguenza, non è mai stereotipata o schematizzabile, ma non può prescindere dal suo farsi continuo nella realtà. Il mondo è un farsi continuo nel suo avvenimento.
E la sua poesia?
La poesia non è l’arte di bloccare su pagina una parte di questa realtà – e in questo senso è tutt’altro che petrarchista, ad esempio – ma è un viaggio, un’immersione in questo movimento cosmico. La partecipazione del poeta non è esterna a questa dinamica, ma ne partecipa attivamente.
Quale opera di Luzi è imprescindibile?
Mario Luzi ha raggiunto un vertice di maturità ancora tutto da scoprire in Per il battesimo dei nostri frammenti. Il titolo affonda nella tradizione di Francesco Petrarca – e del suo famoso Rerum vulgarium frammenta – ma lo inserisce nel movimento sopraddetto. Luzi ha assunto in sé tutta la tradizione letteraria – specie quella del Novecento – e con grande forza l’ha portata a risultati diversi, più ampi.
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