
Rod Dreher: «Cristiani, preparatevi a resistere al totalitarismo morbido»

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Il 29 settembre scorso è uscito nelle librerie degli Stati Uniti Live Not by Lies, il nuovo libro di Rod Dreher, l’autore dell’Opzione Benedetto. Il titolo si ispira a un famoso intervento di Aleksandr Solženicyn, e il libro raccoglie storie di cristiani perseguitati dell’Est europeo che l’autore considera preziose per preparare i cristiani di oggi all’avvento del “totalitarismo morbido” di impronta secolarista occidentale. Abbiamo letto il testo in anteprima e ottenuto un’intervista in esclusiva dall’autore.
Lei ha dedicato metà del suo nuovo libro alla rievocazione delle sofferenze e della testimonianza di fede dei cristiani perseguitati dai comunisti nell’Europa orientale per preparare i cristiani d’Occidente, a cominciare da quelli degli Stati Uniti, alla persecuzione da parte del nuovo totalitarismo morbido secolarista che si sta imponendo. Ha tenuto conto della possibilità che non ci sarà nessuna persecuzione, perché la gran massa dei cristiani si adatterà al nuovo totalitarismo, e la piccola minoranza refrattaria non rappresenterà una minaccia e sarà punita non con i gulag ma con l’emarginazione sociale? Come dice il commissario politico sovietico al cristiano progressista in Cordula di Hans Urs von Balthasar: non sprecheremo una pallottola per te, vi siete liquidati da soli.
Sì, questo è precisamente ciò che accadrà, e questa è una delle ragioni per cui lo chiamo “totalitarismo morbido”. Lo Stato non avrà bisogno di demolire le chiese e di gettare i cristiani nei gulag: la semplice emarginazione sociale ed economica sarà sufficiente a far sì che la maggior parte dei cristiani si arrenda. Alcuni abbandoneranno la fede, altri creeranno per sé una nuova versione eretica della fede in piena sintonia con l’ideologia del regime. Questo sta già accadendo, perciò non sembrerà una cosa nuova. In alcune diocesi cattoliche americane sulle chiese sventolano bandiere dei Gay Pride, e anche all’interno di circoli dottrinali conservatori alcuni credenti accusano di razzismo altri credenti perché questi ultimi non sostengono al 100 per cento il movimento Black Lives Matter. Un professore cattolico mio amico mi dice che nella sua università cattolica alcuni studenti hanno paura di dire qualunque cosa che contraddica l’ideologia progressista per timore che tutti i loro amici li denuncino e li abbandonino. Questo è il clima culturale dell’America di oggi, e questa è la ragione per cui sono sicuro che la maggior parte dei cristiani americani si arrenderà piuttosto che patire disagi per la propria fede. Uno dei dissidenti di cui ho scritto, il pastore luterano Richard Wurmbrand, che è stato torturato nelle prigioni romene per la sua fede, una volta ha posto questa domanda: «Se foste processati per il fatto che siete cristiani, ci sarebbero abbastanza prove per condannarvi?».

C’è un punto da chiarire, ed è la differenza fra “totalitarismo” e “autoritarismo”. Sotto un regime autoritario, allo Stato non importa cosa pensate privatamente, ma dovete affidare tutto il potere politico al regime. Invece il totalitarismo, forma estrema di autoritarismo, cerca di controllare ogni aspetto della vita, compresi i vostri più intimi pensieri. Come scrive George Orwell in 1984, dovete imparare ad amare il Grande Fratello. Con l’avanzata del totalitarismo morbido, sta diventando impossibile dire qualcosa che contraddica la corrotta ideologia della “giustizia sociale” che non è giustizia sociale come la intendono i cristiani. Se non si può dire niente contro di essa senza perdere il proprio lavoro o il proprio status sociale, non passerà molto tempo prima che la gente dimentichi che era possibile pensare qualcosa di diverso. Questo sta già accadendo.
Lei ha parole molto dure nei confronti di molto cristianesimo contemporaneo: lo definisce «religione terapeutica dei quartieri residenziali della classe media», «un vuoto culto di autoaiuto il cui scopo principale non è di coltivare la discepolanza (di Cristo, ndr), ma di sradicare le proprie ansie personali». E sottolinea che «lo spirito terapeutico ha conquistato anche le Chiese, anche quelle affollate da cristiani che si considerano conservatori». I cristiani mainstream, laici e gerarchia, meritano una critica così dura?
Sì, assolutamente. Sono parole dure, ma giuste e necessarie. Nel mio libro precedente, L’Opzione Benedetto, ho spiegato il concetto di “deismo moralistico terapeutico”, la pseudo-religione che ha occupato e parassitato il cristianesimo in America. È un credo che dice semplicemente che Dio esiste e ti ama, vuole che tu sia gentile con gli altri e che tu sia felice. Tutto qui. Tutte cose vere, ma si tratta di verità puerili. Eppure moltissime delle nostre Chiese e delle nostre famiglie cristiane non insegnano mai intorno alla fede niente di più complesso e di più esigente. Abbiamo trasformato il cristianesimo in un meccanismo terapeutico attraverso il quale battezziamo i nostri desideri e ci rassicuriamo che anche Dio li benedice. Questa versione decadente della fede non sarà in grado di sopportare nessun genere di persecuzione. Infatti c’è una grossa differenza fra il totalitarismo duro dell’epoca sovietica e il totalitarismo morbido della nostra era: in epoca sovietica il regime imponeva il totalitarismo infliggendo sofferenze e terrore alla popolazione: questo è il modello di 1984 di Orwell. Invece ai nostri giorni il regime – non solo lo Stato ma le grandi multinazionali, i media, le università e altre istituzioni – imporrà il totalitarismo manipolando il comfort e lo status sociale: questo è il modello di Aldous Huxley in Il mondo nuovo.
C’è una scena in cui il dissidente chiamato John il Selvaggio discute con Mustapha Mond, il governatore mondiale. Mond non capisce perché il Selvaggio non voglia arrendersi e unirsi alla società, dove tutto è molto comodo e dove tutti hanno a disposizione sesso, droga e divertimento. Il Selvaggio protesta dicendo che quella non è vera vita. Mond gli risponde: «Insomma, voi rivendicate il diritto a essere infelice». Il Selvaggio conclude: «Ebbene sì, io rivendico il diritto a essere infelice». Questa è la battaglia che i cristiani hanno di fronte oggi: la lotta per il nostro diritto all’infelicità.
Quando ero a Budapest per raccogliere materiale per il nuovo libro ho avuto una conversazione con una giovane donna cattolica, moglie e madre di un ragazzo. Mi ha detto che trovava frustrante non poter parlare con gli amici delle sue fatiche di moglie e madre. Le ho chiesto il perché. Mi ha risposto che ogni qual volta apriva bocca per parlarne, immediatamente le veniva risposto: «Lascia tuo marito, metti tuo figlio in un centro diurno, sii felice». Questa donna mi diceva che i suoi amici non potevano immaginare che lei fosse già felice come madre e come moglie, nel mentre che sopportava le comuni fatiche di questi ruoli. Per i suoi amici, anche la più piccola dose di ansia e di sofferenza è insopportabile. Le dissi: «È come se tu stessi lottando per il tuo diritto a essere infelice». Le brillarono gli occhi e mi rispose: «È proprio così!». In quel momento ho avuto una profonda intuizione sulla natura della lotta che affrontiamo come cristiani e del modo in cui il totalitarismo morbido ci sta catturando.
Cosa hanno fatto i nostri vescovi, i nostri sacerdoti, i nostri insegnanti per prepararci a capire questa crisi e per resistere in modo cristiano ad essa? Molto poco. Cosa abbiamo fatto per prepararci? Molto poco – e questo è un giudizio che vale anche su me stesso. Ricordo quello che mi disse padre Cassian Folsom, a quel tempo priore del monastero di Norcia, nel 2015 quando gli parlai per la prima volta dell’Opzione Benedetto: mi disse che ogni famiglia cristiana che intendeva affrontare la tenebra incombente senza perdere la fede doveva fare in qualche modo l’Opzione Benedetto. Oggi capisco meglio cosa intendeva.
Lei fa l’apologia della sofferenza come via alla verità e alla libertà. Le diranno che questo è un modo di respingere le persone, non di avvicinarle.
Naturalmente molte persone moderne proveranno repulsione. Sono state condizionate a credere che l’assenza di sofferenza sia il bene più grande. Ed è vero che normalmente la sofferenza in sé è una cattiva cosa. È il modo in cui rispondiamo alla sofferenza che può aiutarci a diventare santi. Nessuno dice che maltrattare Nostro Signore e appenderlo a una croce siano state una buona cosa – ma a causa del modo in cui ha affrontato la sofferenza, Nostro Signore ne ha fatto la modalità della nostra redenzione. Allo stesso modo, la Chiesa ha sempre insegnato che vivere è soffrire, ma se uniamo la nostra sofferenza a quella di Cristo, allora diventerà il mezzo della nostra santificazione. Questo è il cristianesimo normale, ma oggi, nella nostra società borghese benestante, è un discorso da pazzi. Ma è un discorso che dobbiamo fare, perché è la verità!
In America per molto tempo, soprattutto fra i protestanti evangelici, è stata praticata la strategia di non dire niente di negativo nel sermone, perché questo potrebbe allontanare le persone. Un po’ lo capisco, ma se alle persone si danno da mangiare solo caramelle, finiranno per ammalarsi; e non rimarranno con voi, perché non avete dato vere risposte alle loro domande. Quando avevo poco più di vent’anni ero perfettamente convinto che la fede cattolica era la verità, e che mi dovevo convertire ad essa. Ma non volevo rinunciare alla mia libertà sessuale. Ho cercato di fare un compromesso con Dio. Gli ho detto che sarei stato credente, ma che avrei riservato quella libertà per me. Ero come il giovane ricco del Vangelo, quello che voleva seguire Gesù ma non voleva rinunciare alla cosa che era più importante per lui. Finalmente, per grazia di Dio, ho rinunciato a tutto e mi sono convertito. Per me fece una grande differenza ascoltare le parole di Giovanni Paolo II in quei giorni. Non inzuccherava la verità, ma faceva apparire credibili il sacrificio e l’obbedienza come modi per vivere la verità e trovare la gioia. Non semplicemente la felicità, ma la gioia.
In Live Not by Lies il capitolo più importante è l’ultimo, quello sul ruolo della sofferenza nel mantenere viva la Chiesa in tempo di persecuzione. Se non siamo disponibili ad accettare la sofferenza e ad integrarla nella nostra vita di fede, allora moriremo spiritualmente. Il mio racconto preferito all’interno del libro è quello che riguarda Alexander Ogorodnikov, il convertito cristiano che disperava dell’amore di Dio dopo anni di prigione e di tortura. Poi Dio gli ha concesso delle visioni che gli hanno permesso di capire perché Lui avesse permesso che il povero Ogorodnikov soffrisse. È una testimonianza potente. Ogorodnikov, che oggi è anziano, mi ha raccontato la sua storia nell’atrio di un hotel a Mosca con le lacrime che gli scendevano sulle guance, su di un volto semiparalizzato per le botte prese in carcere. Quel momento insieme a lui è stato più reale, vero e motivante di diecimila omelie zuccherose.
Sono davvero numerosi gli immigrati dall’Europa orientale in America che affermano che negli Stati Uniti stanno accadendo le stesse cose che sono accadute da loro nell’imminenza della presa del potere da parte dei comunisti? Ci sono veramente dei paralleli fra la Russia alla vigilia della rivoluzione bolscevica e quello che succede oggi in America?
Il paragone è forte, lo so, ma penso sia onesto. Naturalmente non si può dire che quello che sta succedendo negli Stati Uniti sia esattamente lo stesso che accadde nella Russia prerivoluzionaria, perché ci sono significative differenze. Ma le somiglianze mettono i brividi. Per esempio negli Stati Uniti di oggi come nella Russia tardo-imperiale abbiamo masse di persone solitarie e alienate che hanno disperato bisogno di un’ideologia che dia loro un significato, uno scopo e un’esperienza di solidarietà. Sempre meno persone hanno fiducia nelle istituzioni. I responsabili delle istituzioni sono inclini ad accettare tutte le richieste dei radicali, e molti di essi hanno già accettato il radicalismo, e stanno usano il loro potere nei network dell’élite per promuovere la rivoluzione culturale (secondo la lezione di Antonio Gramsci). I nostri cosiddetti “guerrieri della giustizia sociale” – giovani radicali che propugnano l’ideologia del gender, l’estremismo razziale antibianco, il diritto all’aborto e la distruzione della famiglia – sono molto simili ai bolscevichi: zeloti dediti alla causa che non si fermeranno davanti a nulla pur di ottenere quello che vogliono. E, come dicevo sopra, stanno lottando contro un sistema debole e decadente al quale manca la volontà di resistere.
Infine anche la nostra, come quella russa tardo-imperiale, è un’epoca di sensualità scatenata. Nella prima metà del XX secolo la perversione sessuale era comune fra le élite russe, insieme a un’aperta ammirazione per Satana inteso come figura eroica. Quel che non è ancora avvenuto è una catastrofe di civiltà come la Grande Guerra, che spazzò via ogni significativa resistenza alla rivoluzione. Forse non accadrà: prego che sia così. Penso che sia più probabile la progressiva conquista del potere attraverso l’occupazione delle istituzioni e l’uso della tecnologia per creare una versione americana del sistema di credito sociale che si usa in Cina. Dall’esterno appariremo come una società libera e democratica, ma tutto sarà controllato dall’interno: come avviene con le Chiese, che dall’esterno sembrano le stesse di sempre, ma all’interno un’ideologia anticristiana si è impossessata dell’istituzione. Uso la parola “possessione” intenzionalmente, perché credo onestamente che il processo sia diabolico, sia in senso figurato che in senso letterale. I cristiani devono leggere i segni dei tempi, e prepararsi finché sono in tempo.
Per quanto riguarda il tema delle piccole comunità, notiamo una differenza dalle affermazioni contenute nell’Opzione Benedetto. Lei scrive che, come nella “polis parallela” di Václav Benda, queste comunità devono accogliere anche persone non religiose amanti della verità: «I cristiani devono operare per costruire legami di fraternità non solo fra di loro, attraverso i confini confessionali e internazionali, ma anche con persone di buona volontà appartenenti ad altre religioni o a nessuna religione». Come è arrivato a questa conclusione?
Chiariamo: io intendo semplicemente dire che quando lottiamo per la nostra libertà dobbiamo essere aperti alla possibilità della collaborazione con altri che possono non condividere la nostra fede, ma che condividono la nostra opposizione al regime; e con regime non intendo soltanto lo Stato, ma anche le strutture di potere delle multinazionali, i media e le istituzioni della società civile occupate dai fautori della rivoluzione culturale. Nel libro racconto la storia della famiglia Benda a Praga. Erano e sono ferventi cattolici, ma mi hanno spiegato che nella parte ceca della Cecoslovacchia non c’erano molti cattolici pronti a lottare per la libertà, diversamente dalla Slovacchia. Non avevano altra scelta che collaborare con i laici, gli atei e gli umanisti liberali, coi quali condividevano lo stesso obiettivo: resistere al totalitarismo. Non vedo alcun problema in questo genere di collaborazione, nella misura in cui è chiaro che lavorare con loro non significa condividere tutte le loro convinzioni.
In Slovacchia František Mikloško è stato per anni assistente personale del cardinale Ján Korec quando costui era un vescovo clandestino. Mikloško è un cattolico molto devoto, ma mi ha detto che ha sempre cercato di essere aperto ai non credenti se erano uomini e donne di buona volontà. Dopodiché alcuni di loro in seguito gli hanno chiesto di Cristo. Così ha potuto essere testimone di Cristo di fronte a questi non credenti che in nessun altro modo sarebbero arrivati a prendere sul serio la fede. Penso che se abbiamo chiari i confini fra le nostre missioni in questa vita, questo genere di collaborazione è buona cosa. Non c’è alcuna contraddizione fra l’idea contenuta nell’Opzione Benedetto di piccoli gruppi di cristiani impegnati in un cammino di santità, e l’idea che questi stessi cristiani lavorino con gente di fuori per un diverso, ma collegato, scopo: preservare la libertà degli individui e della società civile contro la minaccia del totalitarismo.
Pensa di avere scoperto, come risultato dei suoi viaggi, il segreto che ha permesso ai cristiani sotto la persecuzione comunista di resistere?
Non mi aspettavo di scoprire che il segreto erano i piccoli gruppi. Ne ho sentito parlare per la prima volta da uno storico della Chiesa sotterranea slovacca, Ján Šimulčík, mentre ci trovavamo in un locale segreto sotterraneo dove i cattolici stampavano catechismi e samizdat al tempo del comunismo. Šimulčík era uno studente universitario negli anni Ottanta e agiva insieme ad altri giovani della sua stessa cellula per distribuire il samizdat. Mi diceva che a infondergli tanto coraggio e fede era quella piccola cellula di giovani uomini. Tutti loro sarebbero andati in prigione se fossero stati scoperti, ma in qualche modo il fatto di affrontare quel pericolo insieme e non da soli li aveva aiutati a crescere spiritualmente e moralmente. Più tardi ho scoperto la stessa cosa parlando a dissidenti cristiani in vari paesi appartenuti al blocco sovietico. Un’anziana signora a Varsavia, Zofia Romaszewska, una vera eroina del sindacato Solidarnosc, mi ha detto in termini molto netti che i giovani oggi devono cominciare a costruire quei network di compagnia cristiana per vivere insieme le gioie, ma anche per prepararsi a soffrire insieme con Cristo.
Tutto torna sempre alla questione della sofferenza e della capacità di soffrire senza perdere la capacità di gioire. Il mio eroe personale in riferimento al libro è Silvester Krčméry, un fisico slovacco che è stato uno dei pilastri della Chiesa cattolica sotterranea in Slovacchia. Krčméry fu gettato in prigione e torturato negli anni Cinquanta. Nella sua autobiografia ha scritto che aveva giurato di non permettere mai che i suoi torturatori lo costringessero ad odiarli. Aveva offerto tutte le sue sofferenze a Gesù, e si considerava come “l’esperimento di Dio”. Che fede! Questo è l’unico modo in cui possiamo affrontare quello che sta arrivando. Nel confronto con queste persone mi percepisco una nullità. Eppure, Krčméry e tutti i suoi compagni di fede non sapevano di avere la forza per sopportare la persecuzione, finché non sono stati messi alla prova.
Nel 1943, un sacerdote croato fuggì da Zagabria, dove aveva lavorato per la resistenza contro i nazisti, per sfuggire alla Gestapo. Andò a Bratislava e prese il nome di Tomislav Kolaković. Padre Kolaković insegnò nella locale università cattolica, e disse ai suoi studenti che dopo la sconfitta dei tedeschi nella guerra il loro paese sarebbe stato governato dai sovietici. Li ammonì che i comunisti avrebbero perseguitato la Chiesa duramente, e che si sarebbero dovuti preparare ora per una vita sotterranea. Padre Kolaković cominciò a costruire un network di piccoli gruppi di preghiera in tutta la Slovacchia composti di studenti e di preti simpatizzanti. Questi giovani pregavano insieme, celebravano la Messa insieme e studiavano testi cristiani insieme. Studiavano insieme anche l’arte della resistenza – per esempio come affrontare con successo un interrogatorio poliziesco. Alcuni dei vescovi slovacchi pensavano che padre Kolaković fosse troppo allarmista, ma egli non si fermò. Era stato preparato per fare lavoro missionario in Unione Sovietica, e sapeva cose che i vescovi compiacenti ignoravano. Nel 1946 il governo espulse padre Kolaković, e nel 1948 ci fu un golpe comunista. Come il sacerdote aveva previsto, lo Stato perseguitò crudelmente la Chiesa. Il network costruito da Kolaković divenne la spina dorsale della Chiesa sotterranea. Krčméry, come tutti i discepoli di Kolaković, andò in prigione. Ma tutti gli anni di preparazione spirituale e pratica li avevano resi forti. Quando furono rilasciati dalla prigione nei primi anni Sessanta, cominciarono a evangelizzare e a costruire la Chiesa cattolica sotterranea. E fu la Chiesa sotterranea a guidare nel 1988 la Dimostrazione delle candele a Bratislava che aiutò a diffondere la Rivoluzione di velluto che abbatté il comunismo.
Ho dedicato Live Not by Lies a padre Kolaković. Questo è il nostro 1943, e credo che questo santo sacerdote ci stia chiamando a prepararci.
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