
Robert Plant e Ben Harper infiammano l’Arena di Milano
Milano sempre più capitale della buona musica. Sul palco del Milano Jazzin’Festival, che quest’anno propone un cartellone di assoluta eccellenza, ieri sera ha ospitato Robert Plant e Ben Harper. Il cantante dei Led Zeppelin ha aperto ufficialmente la serata alle 20 circa, con il sole ancora alto e la gente che continua copiosa ad arrivare. L’apertura è da brividi: Plant regala al suo pubblico Black Dog, storico pezzo del gruppo, in una versione più morbida che lascia il pubblico incantato. Sessant’anni suonati e una voglia di stare sul palco che si sente vibrare in ogni acuto, in ogni carezza vocale che concede agli spettatori. Splendidamente accompagnato dalla voce ruggente di Patty Griffin, spalla graffiante e morbida, e dalla Band of Joy, per cui la musica, a qualsiasi livello, non ha segreti. Robert Plant è in forma eccezionale e dedica gran parte della sua scaletta (troppo breve, dicono i fan) ai successi dei Led Zeppelin: What is and what should, Never be, Misty Mountain Hop, Gallows pole, tra le altre, toccando la vetta più alta con Tangerine, in versione ammiccante alla musica country americana, che pare avergli conquistato il cuore.
I suoi seguaci sono tutti li, in prima fila, con gilet di pelle, birra, capelli lunghi e l’espressione di chi sta ascoltando live un vero mito e si stupisce della sua vicinanza, può quasi toccarlo. Ci sono papà con figli che cantano in coro e che sperano che Plant canti quella canzone lì, proprio la loro preferita degli Zeppelin. Ma non tutti possono essere accontentati, il sole sta tramontando e per Plant e la sua band è ora di lasciare il palco alla “star” della serata: Ben Harper. Con lui il pubblico s’infiamma, d’improvviso sul prato non c’è più un posto libero, tutti si muovono verso il palco in religioso silenzio: Harper entra e s’inchina, saluta quasi incredulo davanti alla folla che lo applaude. Imbraccia la chitarra e intona Burn one Down, prima di lasciare che tutti cantino una versione leggera e quasi sussurrata di Diamonds on the inside. Poi annuncia che il concerto proseguirà con le canzoni del nuovo album e così è: Harper cambia spesso ritmo, e conseguentemente, chitarra (tra il pubblico partono le scommesse su quante ne cambierà fino a fine concerto). Quando si siede e si scatena con la sua lap steel guitar il pensiero corre veloce a Jimi Hendrix e i due, per un attimo, sembrano terribilmente vicini.
Il rock e le melodie si mescolano vorticosamente nell’ora e quaranta minuti di concerto, troppo poca per la verità, che culmina in un momento di assoluta bellezza: Ben interrompe la musica e canta senza microfono, l’arena si ferma e tira il fiato, nessuno parla, nessuno si muove, c’è solo lui e la sua voce, i suoi acuti e le sue finezze. Solo alla fine dell’ultima nota il pubblico gli rende il giusto merito, mentre i brividi sulla pelle stanno andando lentamente via. Harper commosso ringrazia tutti per essere stati in grado di mantenere un religioso silenzio “da club” in uno spazio aperto e affollato. Uno sforzo ampiamente ripagato: è arrivato il momento di andare sulle note di With my own two Hands, accompagnata dai sussurri del pubblico e dalla sua amata chitarra. Un sentito ringraziamento a tutti e all’eroe della musica Robert Plant, con cui purtroppo non c’è stato il tanto desiderato duetto e via dietro le quinte. Il fotografo davanti al palco scatta l’ultima foto, sulla sua maglietta una frase: Jesus loves music. Non potrebbe essere più vero.
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