Rivelazione del Nyt: gli scandali sessuali di Berlusconi non sono divertenti

Di Laura Borselli
04 Febbraio 2011
Lo sapevate già? Non conta, per il quotidiano americano, il problema culturale è uscire dal «maschilista» mondo politico italiano, cui le donne si ribellano. E ricordate di guardarvi bene dalle «arroccate strutture di potere (la Chiesa cattolica e la criminalità organizzata) [che] restano prettamente maschili e reticenti»

Non c’è niente da ridere e il fronte dell’indignazione che ci renderà migliori è tutto femminile. Sono le donne italiane, racconta il New York Times in una mirabile e fiera corrispondenza dall’Italia, a mostrare al mondo e soprattutto a un paese inguaribilmente retrogrado, che gli scandali sessuali di Silvio Berlusconi non sono affatto divertenti.

Lo pensavate già e stavate disperatamente cercando di capire
se esista una politica dopo il bunga-bunga? Non importa, il ragionamento del grande quotidiano americano vi riguarda ugualmente poiché con pazienza spiega che il problema non è appena politico ma culturale e in ballo c’è la possibilità di affrancarsi dal maschilismo italico che in Berlusconi ha trovato sintesi e acme tragico con la repubblica delle Veline.

Nel tentativo di dare spazio a quell’«altra Italia» citata da Emma Marcegaglia a Che tempo che fa (in realtà la presidente di Confindustria si riferiva all’Italia che lavora, senza specifiche di genere, ma tant’è), il Nyt spiega, con le parole della direttrice di Elle Italia, Danda Santini, che da noi le donne subiscono «l’essere costrette tra due immagini, quella della casalinga felice e quella della velina. Poco altro è rappresentato in televisione». Eccolo l’anello mancante tra il berlusconismo e l’imbarbarimento civile: la televisione. Così nel «bizantino» e «maschilista» mondo politico italiano le donne si ribellano.

Il fronte dell’indignazione rosa, racconta ancora il quotidiano,
denuncia gli scandali sessuali del premier che fanno passare un’idea pericolosa: «L’unico modo per una donna di fare carriera, in Italia, è vendere la propria anima, se non il proprio corpo, a uomini di potere». Seguono dati sulla bassa occupazione femminile nel nostro paese (solo il 46% delle donne lavora, contro una percentuale media europea del 59%) e poi la denuncia della mancanza di politiche di sostegno alla famiglia.

Ancora: il “gender gap” misurato dal World Economic Forum
piazza l’Italia al 74mo posto su 134 paesi; prestazioni peggiori nell’Ue si ascrivono solo a Ungheria, Malta e Cipro. Neanche il tempo di pensare che queste cose sono vere e lo sono, ahinoi, da tanti anni, neanche il tempo di mettere in moto i nostri neuroni femminili che si è rapiti dall’acuta disamina sul famigliocentrismo italiano.

E comunque, conclude il Nyt, «per certi versi,
le donne italiane hanno fatto grandi passi avanti in un paese in cui le più arroccate strutture di potere (la Chiesa cattolica e la criminalità organizzata) restano prettamente maschili e reticenti».

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