Rispondere a un popolo

Di Maurizio Lupi
28 Luglio 1999
L'ospite

La sinistra non c’è più. La sinistra si deve rifondare. Se ripartirà sarà da Milano: rinnovata, federalista, veltroniana. Sessanta sedi a Milano sono troppe, i funzionari di partito non devono parlare solo coi funzionari di partito, ma anche con la gente. Bla, bla, bla… Sì, l’opposizione a Milano non c’è più. Non c’è né da gioirne, né da disperarne. C’è solo da prenderne atto sapendo che siamo in presenza di un processo ineludibile. L’inevitabilità del processo corrosivo si è fatta più evidente con le ultime due chiamate alle armi. Dapprima Nando Dalla Chiesa si è inventato una specie di convention panvolontaristica per distillare le ultime energie valoriali del mondo democratico e progressista, poi l’indignazione nella vicenda Ambrosoli ha fatto tremare l’ugula a Giorgio Bocca, a Marco Vitale e a tutti gli altri campioni dell’onestà del bel tempo che fu. In fondo, due modi per esprimere la stessa impotenza: la prima esprime la miseria della sinistra quando vuol ritrovare le ragioni di un’azione nel presente, la seconda denuncia che l’unica speranza per ridare una parvenza di vita al cadavere è una scossa di indignazione moralista e perbenista.

Per onestà va aggiunto che neanche la maggioranza di centro destra a Milano sprizza di salute. Aver un avversario politico con cui battibeccare aiuta spesso a nascondere anche la propria assenza di ragioni. Non averlo può portare drammaticamente in luce che il confronto e il contraddittorio non è con i fantasmi e le sovrastrutture ideologiche, ma è innanzitutto con la città e i suoi bisogni reali.

Che fare dunque? Per prima cosa guardare con coraggio allo spazio che oggi a Milano chiede di essere riempito. Questi i titoli delle terre emerse: privatizzazioni, libertà di educazione, sostegno alle famiglie come primo soggetto sociale, difesa dei ceti sociali deboli non garantiti da organizzazioni sindacali, libertà d’intrapresa e di organizzazione delle risposte ai propri bisogni, superamento dei monopoli, liberazione delle risorse dal giogo della pressione fiscale.

In secondo luogo occorre rendersi conto che ogni pretesa di rappresentanza generalizzata è destinata inevitabilmente a pensarsi come egemonica e vessatoria. È il vizio capitale della sinistra, comunque vestita, di questi anni. Ognuno progetti, partendo dalla propria storia e rispondendo a chi in questa storia si riconosce. Questa stessa costruzione sarà occasione di confronto e arricchimento per tutti. Per noi cattolici in particolare il riferimento non può che essere alla dottrina sociale della Chiesa e alla progettualità sociale che in quell’alveo si inscrive. Il partito è uno strumento e bisogna sceglierlo bene. Oggi, se si tratta di battere in testa allo statalismo centralista, il martello di Forza Italia è il più redditizio.

Per finire, una intelligente prassi politica non nasce dal campo della politica, ma in un campo “prepolitico”. In particolare per noi cattolici nasce nel campo di un’esperienza viva che fondi una nuova concezione dell’io, del suo desiderio, dei suoi bisogni, della sua responsabilità, si misuri obbedendo al reale. Cosa difficilissima perché è difficile trovare, a destra come a sinistra, compagni di cammino. Per l’incuria dell’umano a cui sono piegati i tempi nostri ma anche perché un fondamento rispettoso dell’io è, per sua natura, contro il potere.

Così l’unica forma adeguata del nostro agire politico è nelle natura del tentativo che mentre prova a dare espressione, anche solo provvisoria, a quell’ontologia di cui sopra, apre nuove strade. È questa l’impalcatura che ha suggerito il nuovo regolamento edilizio di prossima definitiva approvazione a Milano, è questa l’impostazione che in questi mesi ha spinto l’amministrazione di Milano a stanare il sindacato dalle sue rendite di posizione. Questo è il significato della famosa vertenza sui vigili, della battaglia per le esternalizzazioni, del patto per il lavoro già citato. Questo è lo schema di un programma di indirizzo e gestione del territorio che, personalmente, sto tentando e che consiste nello spogliare il principe (la politica) di quella presunta superiore intelligenza che prima definisce i bisogni e poi appioppa le soluzioni e di quella terminologia da principe illuminista con cui si esprime la pubblica amministrazione nel rapporto con i suoi “sudditi”: concessione, autorizzazione, permesso, ecc.

Per questo assumono straordinaria importanza esempi (uomini impegnati nel sociale e in politica, opere, istituzioni) che attestino la possibilità di un principio di intelligenza e quindi di una strada. È un’importanza straordinaria che viene quasi percepita più chiaramente da chi è “nemico” che non da chi nasce dalla stessa storia. È illuminante, al riguardo, l’ostinata pervicacia con cui viene combattuta l’azione di governo della Regione Lombardia o il fraintendimento che, volutamente, viene creato intorno alle “piccole rivoluzioni personalistiche e liberali” dell’amministrazione milanese.

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