
Riserve valutarie: boom per i poveri
Grazie all’Asia e alla globalizzazione, i Paesi in via di sviluppo (Pvs) hanno sorpassato quelli industrializzati per quanto riguarda le riserve valutarie, e il divario va accentuandosi progressivamente. è quanto si evince dalla lettura delle statistiche del Fondo monetario internazionale (Fmi) relative a questa materia. Le riserve valutarie sono una componente importante della solidità finanziaria di uno stato: permettono di far fronte ai disavanzi della bilancia dei pagamenti e di sostenere il tasso di cambio della propria valuta.
Si accumulano attraverso le esportazioni, le attività finanziarie all’estero dei propri cittadini e gli investimenti stranieri sul proprio mercato. Dunque un valore alto delle riserve significa anche che tali comparti vanno bene.
Ebbene, dal 1993 ad oggi la quota dei Pvs sul totale mondiale delle riserve valutarie è passata dal 47% al 59%. L’anno del sorpasso è stato il 1996, dopodichè la forbice è andata allargandosi. Alla fine del 2001 i Pvs vantavano l’equivalente di 1.022 miliardi di Dps (Diritti di prelievi speciali, un’unità di misura utilizzata in ambito Fmi che equivale a 1,3 euro) contro 711 miliardi dei paesi industrializzati.
In pratica le riserve dei Pvs sono più che raddoppiate nel giro di sei anni: nel 1995 ammontavano a 507 miliardi. Il “merito” spetta quasi esclusivamente ai paesi asiatici che hanno aperto la loro economia e sfruttato le opportunità della globalizzazione: Cina, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud e Singapore da sole totalizzano riserve valutarie per 500 miliardi di Dps.
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