
Rimettere ordine nella giungla del superbonus

Stop a sconto in fattura e cessione del credito per i bonus edilizi. È questa la notizia data dal governo attraverso un decreto approvato dal Consiglio dei ministri giovedì e di cui si discute da qualche giorno. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i suoi ministri hanno spiegato che la misura introdotta nel 2020 dal secondo governo Conte ha portato i conti dello Stato «fuori controllo» e, dunque, per evitare «ulteriori danni», si è dovuti intervenire. «È costato 2.000 euro a ogni italiano», ha detto Meloni. Sul fronte opposto, il grillino Giuseppe Conte che ha difeso la misura che ha consentito al nostro Pil di «volare».
Ieri c’è stato un incontro tra alcune associazioni di categoria ed esponenti di primo piano del governo per cercare di mettere un po’ d’ordine in una materia complessa. Sono molte, infatti, le associazioni che hanno manifestato le proprie perplessità dopo l’intervento dell’esecutivo. Secondo l’Ance ci sono 15 miliardi di crediti incagliati, 25 mila imprese a rischio fallimento, 130 mila potenziali disoccupati.
Dare stabilità al sistema
Tempi ne discute con Giovanni Battista Calì, dottore commercialista e presidente dell’Odcec (Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili) di Roma. «Il Mef ha stimato che sui bonus edilizi c’è stata una modifica ogni tre mesi: una giungla in cui anche gli operatori del settore sono diventati matti. Norme illeggibili, con continui rinvii legislativi». Quindi ben vengano interventi che aiutino a «dare stabilità al sistema» e «qualità alle norme così da avere una maggiore certezza interpretativa».
Calì premette di non voler entrare in merito a scelte che spettano alla politica, ma di voler offrire solo un contributo «tecnico» su una materia oggettivamente difficile. «Mi chiede cosa si debba fare? Questa è una domanda da un milione di dollari! Quel che le posso dire è che eviterei posizioni ideologiche, cercando di affidarmi il più possibile a dati che ci portino a immaginare soluzioni praticabili».
Che qualcosa non funzionasse nei meccanismi del superbonus era noto da tempo. Così come da tempo si parlava di una sua decisiva revisione. D’altronde, non era un mistero che già Mario Draghi e il precedente ministro dell’Economia, Daniele Franco, avessero più volte criticato la norma, molto costosa per le casse dello Stato e, soprattutto nel primo periodo della sua applicazione, foriera di truffe. Per questo, l’attuale esecutivo, dopo neanche un mese dal suo insediamento, aveva portato il superbonus dal 110 al 90 per cento (decreto Aiuti Quater).
Miliardi di incrementi
«Sicuramente – dice Calì – sotto il profilo delle previsioni iniziali, qualche sottovalutazione è stata fatta». Il presidente si riferisce sia all’esplosione dell’inflazione che «ha portato a un innalzamento dei prezzi dei servizi che venivano agevolati», sia al fatto che si è andati a modificare quel «virtuoso meccanismo di conflitto di interessi tra l’acquirente e il cedente che fa sì che il negoziato sul prezzo sia genuino (perché se paga un terzo, nel nostro caso lo Stato, è difficile che il meccanismo sia genuino)». Quindi pare corretto, dopo «l’ubriacatura del periodo della pandemia in cui tutto era straordinario e quindi legittimo, tornare a una situazione di normalità».
Chi ha espresso perplessità? Abbiamo detto di Draghi e Franco. Ma anche la Corte dei conti e infine, più di recente (2 febbraio), il Direttore generale delle Finanze Giovanni Spalletta durante un’audizione presso la Commissione finanza e tesoro del Senato. È in quell’occasione, fa notare Calì, che sono stati resi noti numeri che arrivavano dalla Ragioneria dello Stato secondo cui, a fronte di stime iniziali di bonus edilizi per 72 miliardi di euro, la Ragioneria ne calcolava 110. «E l’incremento principale era dovuto proprio al Superbonus dove la prima stima era di 36 miliardi e invece il dato aggiornato era di 61 miliardi, quindi con un incremento molto significativo. E stiamo parlando di stime fatte su dati fino a novembre, ma che, come spiegò allora Spalletta, erano destinate ad aumentare con dati più aggiornati. Infatti l’Enea, a fine gennaio, ha calcolato 11 miliardi in più».
Crediti incagliati
Come si diceva, chi difende la norma, fa notare i suoi benefici sul Pil, quindi sulle case dello Stato grazie a un maggior gettito. «Su questo, l’Ance presentò uno studio nel corso del 2022 che stimò un ritorno nelle casse dello Stato del 47 per cento: quindi per ogni 10 euro dati dallo Stato col bonus gliene tornavano 4,7. Il Censis stimò un ritorno addirittura del 70 per cento. Io faccio affidamento su uno studio della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, che è di fine dicembre 2022, e stima l’effetto fiscale indotto nel 43 per cento». La difformità dei numeri, nota Calì, è un segno della difficoltà della materia (che deve tenere conto anche del fatto che col sistema delle detrazioni l’effetto è dilazionato nel tempo), ma consente lo stesso di porsi qualche interrogativo. E cioè se «a fronte di risorse limitate, sia ragionevole un investimento netto del 57 per cento o se vi siano meccanismi più efficienti da mettere in gioco».
Tanti problemi rimangono sul tappeto. Quello dei cosiddetti crediti incagliati che l’Ance quantifica in 15 miliardi (ma il ministro Giorgetti parla di 19) e che ieri sono stati al centro dei colloqui tra i ministri e i rappresentanti di Abi, Cdp, Sace e le associazioni di costruttori. Altro problema sarà capire come venire incontro a quei soggetti che hanno fatto investimenti in termini di acquisto di un immobile, ma che non hanno presentato la Cila (Comunicazione di inizio lavori asseverata) o che hanno affrontato spese in termini di assunzioni o di macchinari e che ora si trovano con le carte cambiate in tavola.
Da ultimo, fa notare il presidente, c’è un tema «di “profilo redistributivo”, perché un meccanismo che viaggia solo sul binario del credito di imposta rischia di non recare vantaggi ai ceti meno abbienti, ma di favorire solo quelli che hanno redditi medio alti. Un legislatore attento ne dovrebbe tenere conto».
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