
Ecco la grande riforma che libererà il Csm dalle correnti (gonzo chi ci credeva)

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Non è bastato un dibattito di anni, ormai così trito e ripetitivo da assomigliare a una novena ottocentesca. È servita a poco perfino la recente, e brutale, critica di Raffaele Cantone, il pm italiano più stimato dell’intero orbe terracqueo: «Le correnti della magistratura sono diventate un cancro», ha detto il presidente dell’Autorità anti corruzione. No, le correnti della magistratura non si toccano. Sono più potenti dell’opinione pubblica, del parlamento, di un ministro, di un governo. Lo sono perché amministrano l’ultimo potere senza limiti, quello dei magistrati. Diciamocelo, una volta per tutte: chi si mette contro le correnti non si becca un raffreddore ma muore, peggio che toccare il filo della… corrente (elettrica).
È stato così che il 16 marzo la paludatissima commissione (guarda caso zeppa di magistrati e di ex magistrati) per la riforma del Consiglio superiore della magistratura, affidata a settembre dal ministro della Giustizia Andrea Orlando a Vincenzo Scotti, 82 anni ed ex ministro, ha partorito una propostina timida timida, che i giornaloni si sono subito affrettati a etichettare come «rivoluzionaria». Ma non è affatto così. Perché in realtà il sistema ideato da Scotti & c. non sposta nulla.
Vediamo perché. La proposta prevede un doppio turno elettorale. Al primo, per eleggere i 14 candidati di loro spettanza, si potranno presentare tutti i 9 mila magistrati italiani senza liste o sigle di appartenenza, anche singolarmente. In apparenza, è qui l’innovazione proclamata ai quattro venti: tutti gli elettori, si dice, saranno finalmente liberi di scegliere candidati senza una corrente alle spalle.
Al contrario, se proprio non vogliamo chiamarla truffa, è un’illusione ottica. Perché – cercate di seguire la cervellotica idea della commissione Scotti – i magistrati saranno chiamati a selezionare, con il loro voto, un numero di candidati quadruplo rispetto ai 16 posti in palio. E cioè 64 togati divisi per ruolo e distribuiti come i posti da assegnare: 8 magistrati di Cassazione per 2 seggi, 16 pubblici ministeri per 4 seggi, 40 giudici per 10 seggi. È evidente che in questo baillamme basterà un qualunque gruppo organizzato (in parole povere: una corrente) per dirigere il voto verso liste di singoli graditi a questo o a quel partito delle toghe. Così torneremo esattamente al punto di partenza.
E comunque va detto che, al secondo turno, la proposta Scotti concede ai candidati eletti di riunirsi ancora in correnti o in liste, sulla base di programmi elettorali e organizzativi, «in modo da dare voce e riconoscibilità ai diversi orientamenti culturali (e politici e d’interesse, aggiungo io) presenti in magistratura».
Se questo è un depotenziamento
Insomma, è più che un’occasione persa. È una presa in giro. Anche perché, se dovesse passare, la riforma Scotti del Consiglio superiore della magistratura andrà ad affiancarsi alle nuove norme che regolano l’attribuzione degli incarichi direttivi, cioè il sistema con cui lo stesso Consiglio superiore sceglie i capi delle procure e dei tribunali. Questo nuovo sistema, infatti, ha accresciuto – se possibile – il potere discrezionale del Csm, e dunque proprio il peso delle correnti: ha inserito criteri di valutazione che prescindono dall’esperienza direttiva, ha valorizzato esperienze di lavoro di magistrati che non hanno mai avuto incarichi direttivi, cioè i tantissimi che sono distaccati presso i ministeri o lanciati direttamente in politica a ogni livello. Altro che depotenziamento delle correnti…
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