Il politically correct nuoce «irreparabilmente» a donne e bambini

Ricci Sargentini alla premiazione a Caorle: «Dall’elogio della prostituzione a scuola all’utero in affitto, è un crescendo di follia che sarebbe comica se non fosse tragicamente dannosa»

Monica Ricci Sargentini del Corriere della Sera seduta tra Emanuele Boffi e il sindaco Marco Sarto alla cerimonia di consegna del Premio Luigi Amicone a Caorle, 17 luglio 2022

Pubblichiamo il discorso pronunciato da Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere della Sera, domenica 17 luglio 2022 nella Sala Rappresentanza del Comune di Caorle durante la cerimonia di consegna del Premio Luigi Amicone, al termine della festa di Tempi dedicata al coraggio di “Chiamare le cose con il loro nome”.

[Leggi anche l’intervento di Matteo Matzuzzi, l’altro premiato di questa prima edizione].

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La settimana scorsa sul Times ho letto che la commissaria inglese per i bambini Rachel de Souza ha aperto un’indagine su come viene insegnata l’educazione sessuale a scuola (è obbligatoria dal 2020) dopo una serie di denunce piuttosto sconvolgenti. In alcune scuole, ci racconta il Times, viene insegnato ai bambini che la prostituzione, o meglio il “sex work”, è un lavoro molto appagante e addirittura viene promosso il sesso cosiddetto kink, in cui ci si diverte a farsi chiudere in gabbie, farsi picchiare e schiaffeggiare. In alcune classi delle elementari si promuove l’uso di pronomi neutri al posto di “lei” o “lui” in modo da non urtare i bambini che potrebbero sentirsi non binari.

Sempre in Gran Bretagna, a Telford, nella contea dello Shropshire, un’inchiesta indipendente ha rivelato come per trent’anni sia andato avanti un giro di prostituzione minorile nella comunità asiatica e come la polizia ne fosse a conoscenza ma abbia evitato di agire per paura di essere giudicata razzista e poco politically correct. Almeno mille le bambine e ragazzine abusate.

Come saprete, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America sono la patria delle cose che non vengono chiamate con il loro nome. Le donne diventano “persone con capacità gestazionali”, le madri surrogate vengono chiamate “portatrici” e così via in un crescendo di follia che sarebbe anche comica se non fosse tragicamente dannosa per le donne.

Per fortuna ci sono forti segnali di marcia indietro, come il recente annuncio di una revisione di tutti i casi di transizione di genere della Tavistock Clinic di Londra. E uno dei candidati a sostituire Boris Johnson, Rishi Sunak, ha detto a chiare lettere che se diventerà premier si adopererà per cancellare il linguaggio neutrale perché «dobbiamo poter chiamare una madre una madre e poter parlare di allattamento al seno». Della stessa opinione altre due candidate, Suella Braverman e Kemi Badenoch.

Ma non crediate che il resto del mondo sia immune dal contagio. In Spagna è al vaglio del Parlamento la Ley Trans che consentirebbe ai maggiori di 16 anni di cambiare sesso all’anagrafe con una semplice autodichiarazione, in Germania il governo Scholz ha proposto un provvedimento simile, in Italia ci si è provato con il ddl Zan che è stato ripresentato ma difficilmente potrà passare. In compenso nei licei assistiamo a un fiorire di “carriere alias”, a studenti invitati a fare coming out nelle assemblee plenarie, a un sindaco, quello di Milano, Beppe Sala, che scavalca le leggi dello Stato e propone di registrare all’anagrafe i figli di due padri e di due madri.

Nel nostro paese un gruppo di madri e padri alle prese con i figli affetti da disforia di genere lotta perché essi non vengano sottoposti a un trattamento dagli esiti incerti e soprattutto irreversibili, le trovate sui social: si chiamano “Genitori Degeneri”. Hanno subìto duri attacchi e sono state costrette a chiudere l’account per qualche tempo.

Non parliamo di fenomeni marginali: il numero dei bambini sottoposti a trattamenti di genere nel Regno Unito è aumentato del 1.000 per cento tra i maschi e del 4.400 per cento tra le femmine in soli dieci anni. Negli Stati Uniti nel 2007 c’era una sola clinica dedicata, a Boston, oggi sono oltre mille, di cui 300 pediatriche, il numero di giovani e giovanissimi che si identificano come transgender è raddoppiato.

In Italia purtroppo non abbiamo dati su quanti minori siano sottoposti al percorso di transizione. Da giornalista dico che bisognerebbe ottenerli quei dati per evitare che anche qui scoppino scandali come quello che ha travolto il Karolinska Institutet in Svezia, che ha ammesso di aver danneggiato «irreparabilmente» la salute dei bambini, o quello della Tavistock & Portman di Londra denunciato dagli stessi medici.

Intanto cominciare a chiamare le cose con il loro nome è già un buon punto di partenza.

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