
«Ribellione armata in Russia». Putin vacilla, poi Prigozhin si ferma

Per la prima volta il potere assoluto detenuto da Vladimir Putin in Russia dal 1999 scricchiola. Dopo un anno e mezzo di guerra scellerata in Ucraina qualcosa è cambiato, anche se non si è verificato quello che speravano gli analisti occidentali e il governo ucraino. Non è il popolo a essersi ribellato al leader, ma un membro di quell’élite che grazie a Putin ha avuto soldi, onori e fortuna. Nessuno si aspettava la marcia su Mosca di Yevgeny Prigozhin, leader del gruppo paramilitare privato Wagner, e nessuno sa con certezza che cosa accadrà nelle prossime ore.
Prigozhin rinuncia a combattere per Mosca
Il tentativo di «ribellione armata», come l’ha chiamata lo stesso Putin, o di «colpo di Stato», per usare l’espressione del fedelissimo ex presidente Dmitri Medvedev, sembra essere fallito. Dopo aver annunciato venerdì sera che 25 mila soldati della Wagner erano pronti a marciare «e a morire» per il popolo russo, e dopo essere arrivato ieri a circa 200 km da Mosca, Prigozhin ha fermato tutto «per non spargere il sangue russo».
Che cosa ha convinto il leader militare a tornare indietro? Non è chiaro. Le fonti ufficiali parlano di una mediazione del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko e della imminente cacciata del ministro della Difesa, Sergej Shoigu, e del capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov.
È possibile anche che Prigozhin non abbia ottenuto il supporto sperato da parte dei ranghi ufficiali dell’esercito russo o di altri gruppi. Il leader ceceno Ramzan Kadyrov, ad esempio, dopo l’inizio del colpo di Stato ha dichiarato: «Il mio esercito è pronto ad abbattere l’insurrezione della Wagner».
Secondo alcuni soldati ucraini al fronte, come riportato dal Washington Post, si è invece trattato di una grande messinscena: «Una mossa politica, una finzione per spingere a rilassarci».
La «marcia della giustizia»
La «crisi più grande dello Stato russo dal 1999», per usare le considerazioni dell’intelligence britannica, inizia venerdì sera quando Prigozhin denuncia i leader militari russi – che bersaglia quotidianamente da oltre un anno per «incompetenza» – per aver bombardato un campo d’addestramento della Wagner «uccidendo un gran numero di nostro uomini».
Per «rispondere a queste atrocità», ancora non verificate da media indipendenti, Prigozhin annuncia l’inizio di una «marcia della giustizia», sottolineando che non si tratta di «un colpo di Stato». La marcia inizia la mattina successiva, quando il procuratore generale della Russia annuncia l’incriminazione di Prigozhin per reati che potrebbero valergli anche 20 anni di carcere.
Lo scontro tra Wagner e ministero della Difesa
Il presunto bombardamento del campo della Wagner è solo l’ultimo atto di un lungo braccio di ferro tra il gruppo paramilitare e il ministero della Difesa, precipitato in particolare nell’ultima settimana.
Pochi giorni fa il ministro Shoigu aveva imposto a tutti i membri delle milizie private di firmare un contratto con la Difesa e di finire quindi sotto i comandi militari ufficiali. Prigozhin aveva subito replicato che i suoi non l’avrebbero mai fatto e che avrebbero continuato a combattere per conto loro. L’aumento delle pressioni da parte del Ministero non ha fatto che aumentare la tensione, esplosa poi venerdì sera.
La «conquista» di Rostov
Sabato mattina la «marcia della giustizia» inizia e gli uomini della Wagner conquistano i siti militari e l’aeroporto della città di Rostov, snodo strategico fondamentale per la guerra in Ucraina, «senza sparare un colpo di fucile», come sottolineato in un video da Prigozhin.
È a Rostov che Prigozhin chiede un incontro ufficiale con Shoigu e Gerasimov. Vuole le loro scuse e la loro testa, se possibile. Al loro posto si presentano alcuni generali, il numero due di Shoigu e Vladimir Alekseev, il numero due dei servizi militari. Diverse foto li mostrano intenti in un dialogo pacifico.
Il messaggio di Putin: «Traditore della Russia»
I dettagli dell’incontro restano segreti. La Wagner avanza ancora e conquista Voronezh, arrivando indisturbata a 500 km da Mosca.
Nel frattempo, Putin lancia l’allarme in un messaggio televisivo a reti unificate:
«Faccio appello ai cittadini russi, al personale delle forze armate, alle forze dell’ordine e ai servizi speciali, ai soldati e ai comandanti che ora stanno combattendo nelle loro posizioni di combattimento, respingendo gli attacchi nemici, facendolo eroicamente […]. Faccio appello anche a coloro che, con l’inganno o le minacce, sono stati trascinati in un’avventura criminale, spinti sulla via di un grave crimine: una ribellione armata. […] Le azioni che dividono la nostra unità sono, di fatto, l’apostasia del nostro popolo, dei nostri compagni d’armi, che ora stanno combattendo al fronte. Questa è una pugnalata alle spalle del nostro paese e della nostra gente. Un colpo simile fu inferto alla Russia nel 1917, quando il paese stava conducendo la prima guerra mondiale: la vittoria le venne rubata. […] Non permetteremo che accada di nuovo. Proteggeremo sia il nostro popolo sia il nostro Stato da qualsiasi minaccia. Compreso il tradimento interno».
Finisce il «colpo di Stato» in Russia
Prigozhin si difende dalle accuse, nega di essere un «traditore» e intanto avanza ancora, superando Elets, a 300 km da Mosca, che intanto viene blindata preparandosi a un assedio.
Ma l’assedio non si verifica. Prigozhin si ferma prima, forse in cambio del riconoscimento ufficiale dell’indipendenza della Wagner e dell’allontanamento di Shoigu e Gerasimov.
Di sicuro, come rivelato dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, le accuse contro Prigozhin sono state ritirate e lui stesso «andrà in Bielorussia»
Putin è salvo, la guerra continua
Putin e il suo regime, al momento, sono salvi. Se quello di Prigozhin era davvero un colpo di Stato sembra fallito. Se era invece una minaccia molto credibile per ottenere vantaggi, sfruttando la forza della Wagner, ormai indispensabile nella guerra in Ucraina, sembra aver funzionato. Se era una messinscena per confondere ucraini e Occidente, e magari far fuori personaggi intoccabili, pure.
Di sicuro, vacilla l’immagine di Putin come leader saldo al potere e in controllo della situazione. Ucraina e Occidente, per 24 ore, hanno forse sperato che la «ribellione armata» avesse successo. Non è però detto che l’eventuale sostituto di Putin interrompa l’invasione dell’Ucraina.
Le parole pronunciate da Medvedev, pregne di paura di perdere il potere, contengono in fondo una verità inquietante e paradossale: «Se l’arsenale nucleare della Russia finisse sotto il controllo dei banditi, il mondo intero sarebbe sull’orlo della distruzione».
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!