
Renzi parla alla testa, Grillo alla pancia. Ma manca qualcuno che parli al cuore, come Berlusconi
Parliamo di Berlusconi. È finita un’era? Quanto ha influenzato, quella stagione, il nostro immaginario collettivo? Cosa ha rappresentato per gli italiani? Un elemento di sintesi, un bersaglio di identificazione, un’abitudine? Tutte e tre le cose e molto di più, secondo Alessandro Amadori, psicologo e demoscopo della politica, fondatore di Coesis Research, già autore di due pubblicazioni (Mi consenta, Scheiwiller edizioni, 2002, e Madre Silvio, Mind, 2011) dedicate all’analisi semiotica dei modelli di comunicazione del fondatore di Forza Italia. «È finita un’era, e non è ben chiaro cosa accadrà. È un pezzo di auto-rappresentazione del Paese che esce di scena».
IL PARTITO DELL’AMORE. Secondo Amadori,«l’Italia aveva trovato un modello simile alla signoria, al principato, da quanto Berlusconi ha preso il Biscione degli Sforza e l’ha piantato sul suo regno d’antenne». Un modello che prima di essere economico è cognitivo: «Con tutti i suoi errori, aveva proposto uno schema chiaro, che poteva piacere o non piacere: quello del godersi la vita, del procurarsi ricchezza. Era più di un programma politico, era un’idea dell’Italia». E in quanto tale, capace di scatenare odio estremo o grande amore. E adesso? «Quel romanzo italiano a colori non c’è più. Siamo governati da un’entità impersonale, una sorta di sistema asettico. Nulla di più lontano da quello a cui ci siamo abituati».
Effettivamente la differenza tra un governo tecnico e il «partito dell’amore» è tangibile. In mezzo, ci sono tutte le metafore e in simboli attraverso i quali Berlusconi ha conquistato, e poi perso, il consenso degli italiani. Per qualcuno si è trattato di un regime. «Invece era un reame, psicologicamente parlando, una sorta di Camelot versione Arcore. Ce lo ricordiamo Berlusconi nel 1992? Era un oggetto di amore e identificazione sceso in campo con la forza dei suoi mezzi, come Ettore e Achille, per combattere con la forza della passione. Sembrava dire: io vi amerò e combatterò per voi. Un fighter lover, che parla all’inconscio delle persone».
A LATO PER RIMETTERSI IN GIOCO. Adesso cos’è cambiato? «Politicamente si è smarcato dal ruolo del bersaglio fisso. Ha fatto un passo di lato, sbloccando una situazione in cui non aveva più margini di libertà, rimettendosi in gioco. Questo ridimensionamento di potere lo rende più vulnerabile? È presto per dirlo. Non mi aspetto un drastico mutamento di scenario. Le trame della Seconda Repubblica continueranno a manifestarsi, in altro modo». E a livello di comunicazione? «È mutato il registro. E quindi l’archetipo. Sembra dire agli italiani: mi prenderò cura di voi, continuando ad amarvi sotto un’altra forma, fra il mentore e l’allenatore. Una relazione di accudimento, che gli ridà dignità. Non è più sul trono: si pone come un uomo come tutti, ma con più esperienza». In passato Berlusconi ha segmentato fortemente il pubblico. Che fine farà tutto l’amore e tutto l’odio che ha catalizzato su di sé in questi anni? «La mia impressione è che resterà un vuoto. La sua grandezza hollywoodiana resterà un tratto unico, non penso ritroveremo investimenti emozionali così forti. E a qualcuno mancherà, sia a chi lo venera sia a chi lo detesta».
GRILLO E LE METAFORE VENTRALI. Matteo Renzi e Beppe Grillo sono entrambi degli ottimi comunicatori. Sono in grado di colmare questo vuoto? «La simpatia di Renzi, assieme alla sua capacità di apparire rassicurante, è molto berlusconiana. Il sindaco di Firenze però è aziendale, non suscita passionalità». E Grillo? «Ricorda il Cavaliere per il gusto dell’iperbole e la teatralità. Ha una certa passionalità, ma negativa. È thanatos, un processo distruttivo. Difatti usa metafore ventrali: zombie, mostri, cimiteri, riti funebri, seppellimento e così via».
In altre parole: Renzi si rivolge alla testa, Grillo alla pancia. Manca il cuore. «Berlusconi riusciva a parlare a tutti e tre. Ci abbiamo fatto l’abitudine, ci ha stregati, in positivo e in negativo. Oggi questa parte “seduttiva”, l’eros, manca del tutto. È per questo che, nonostante tutto, l’attuale narrazione politica ci appare terribilmente fredda».
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