Renzi, la tassa sulle fondazioni che affama il no profit e la sussidiarietà a rischio

Di Laura Borselli
09 Dicembre 2014
Tartassando le Fondazioni bancarie il governo minaccia di tagliare le gambe al Terzo settore. Proprio mentre promette di valorizzarlo con una riforma storica

StampaLe rendite finanziarie non sono tutte uguali. È quello che il Terzo settore vorrebbe far capire a Matteo Renzi, che con la sua legge di Stabilità si appresta a scontentare (e non poco) un’area cui a parole ha sempre prestato molta attenzione. Se infatti non interverranno correzioni in questo senso, da gennaio le Fondazioni si troveranno a pagare tasse molto superiori a quelle che pagano oggi. Lo ha scritto in un appello asciutto e accorato sul Corriere della Sera don Gino Rigoldi (foto sotto a sinistra), da quarant’anni cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e membro dell’organo di indirizzo della Fondazione Cariplo: «L’aumento della tassazione a carico delle Fondazioni – ha scritto don Rigoldi – taglierà risorse destinate al no profit per un importo complessivo di 260 milioni di euro (60 dei quali a carico della sola Fondazione Cariplo)» (leggi anche questo articolo sull’appello di don Rigoldi a Renzi e la sua intervista a tempi.it).

Per Sergio Silvotti, portavoce del Forum del Terzo settore in Lombardia, ci rimetteranno i servizi alla persona, il patrimonio artistico e culturale del paese. «Sì – spiega – perché quelle delle Fondazioni di origine bancaria sono rendite molto particolari, che per legge devono essere destinate ad attività filantropiche. A rimetterci sono anche tutte quelle iniziative che costituiscono sperimentazioni preziose. Spesso infatti il terzo settore è un laboratorio in cui si “testano” nuove modalità con cui le persone si fanno carico della dimensione pubblica. Le risorse provenienti dalle fondazioni andavano a moltiplicarsi sul territorio, mettendo in moto le energie dei cittadini. Noi dobbiamo sperare che quei fondi che oggi, con una misura decisamente statalista e centralista, vengono portati nelle casse dello Stato ritornino, ma sappiamo tutti che è difficile».

Per Stefano Zamagni, docente di Economia politica all’università di Bologna, ultimo presidente dell’ormai defunta Agenzia per il terzo settore, è evidente che quello del governo è un errore. Ma da qui a parlare di un esecutivo che rottama la sussidiarietà ce ne passa. «Se gli italiani fossero meno superficiali di quanto sono – dice a Tempi – si interrogherebbero sulle ragioni di un tale gesto da parte del governo. E il motivo, lasciatelo dire a uno che da quel mondo viene e che dunque lo conosce, è che ci sono molte fondazioni, che purtroppo spendono male i soldi che hanno o che almeno lo hanno fatto in passato. Quando si viene a sapere che molti dei soldi vengono buttati in emolumenti ai membri del consiglio di amministrazione e non meglio precisate spese di amministrazione, allora è comprensibile che il governo, preso dalla necessità di fare cassa, agisca come abbiamo visto».

Scatta il paragone con l’evasione fiscale e con l’aumento indiscriminato delle tasse che colpisce i soliti onesti. «È una dinamica analoga, come sempre capita che chi ci rimette sono le fondazioni serie, che sono più della metà. Purtroppo questa è una vecchia storia». Zamagni indirettamente condanna una logica del lamento generalizzato e rilancia: «Le fondazioni serie dovrebbero raccogliere le firme per fermare questo provvedimento e contestualmente chiedere che vengano sanzionate le irregolarità. Perché mi lasci dire che il presidente di una fondazione bancaria che prende 60-70 mila euro all’anno non ha nessuna ragione per farlo. Le Fondazioni sono nate per distribuire, ma non a se stesse, bensì alle realtà associative e del terzo settore sparse sul territorio».

Con uno dei suoi azzeccati slogan Renzi lo diceva già ai tempi delle primarie: il Terzo settore non è il terzo, ma il primo. Lo sa bene uno come Riccardo Bonacina, direttore di Vita, il mensile del no profit italiano, e mattatore dei tavoli dedicati al Terzo Settore in più di una Leopolda. «Renzi o chi per lui deve capire che ci sono rendite finanziare e rendite finanziare. Quelle delle fondazioni bancarie sono essenziali al no profit. I milioni in più di tasse che lo Stato intascherà saranno milioni che mancheranno a progetti dedicati alle fasce più bisognose della società». Lo ha detto a tempi.it anche Giorgio Righetti, il direttore dell’Acri, l’associazione delle casse di Risparmio (qui l’intervista). Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente di Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti, che addirittura ha messo in guardia circa una messa in discussione di progetti e iniziative già approvate, visto che il provvedimento dovrebbe essere retroattivo e riguardare anche il 2014.

meno-tasse-fondazioni-bancarie-no-profit-campagna-terzo-settore-1Una legge a lungo attesa
Tuttavia non si può desumere da un provvedimento tampone l’atteggiamento di un governo, soprattutto, interviene Zamagni, quando c’è in Parlamento un progetto di riforma del Terzo settore che si aspettava da anni. «Le novità importanti sono diverse: innanzitutto si passa dal regime concessorio a un regime di riconoscimento, che è un passo significativo per ridurre lo statalismo che ancora imperversa. Significa che gli enti non dovranno più chiedere l’autorizzazione per operare nel terzo settore, ma solo il riconoscimento. Poi si punta al superamento della qualifica opzionale di impresa sociale, rendendo obbligatoria l’assunzione dello status di impresa sociale per tutte le organizzazioni che ne abbiano le caratteristiche. E ancora: viene introdotta la possibilità per questi enti di avere accesso a degli strumenti finanziari che fino ad ora erano inaccessibili. E poi c’è la stabilizzazione del cinque per mille, che si attendeva da anni. E non mancano passi verso la cosiddetta “ibridizzazione”; ossia la possibilità di instaurare rapporti tra mondo profit e no profit. Sono misure importanti per superare la dicotomia pubblico-privato, una dialettica in cui troppo spesso si dimentica un terzo, importantissimo, elemento che è il civile: le organizzazioni del terzo settore sono espressione della società civile, della civitas, quel luogo dove le persone si riuniscono e si organizzano in nome di un ideale. Dovremmo ricordarci di uno slogan che si usava molto qualche anno fa: più società, meno Stato».

«Purtroppo il principio di sussidiarietà resta uno dei principi più disattesi della Costituzione», interviene Silvotti obiettando che quella in Parlamento non è esattamente una riforma del terzo settore, ma una riforma su come il terzo settore può contribuire al rinnovamento dello Stato sociale. «Dopo tanti slogan sul terzo settore che in realtà è il primo ci saremmo aspettati un investimento ben più ampio, per fortuna all’ultimo minuto sono stati aumentati i fondi per il servizio civile universale». Pochi giorni fa, infatti, il governo ha trovato 50 milioni da aggiungere ai 65 già stanziati, per finanziare il Fondo nazionale per il servizio civile. «Il Terzo settore vive di partecipazione dei cittadini, bisogna dare loro le condizioni per partecipare. In definitiva credo che il “bilancio” dell’impegno a favore della sussidiarietà da parte di questo governo sia fatto di luci e ombre, con molte luci negli annunci e qualche ombra quando si tratta di passare ai fatti concreti», conclude il presidente del Forum del Terzo settore lombardo.

L’esempio dell’housing sociale
Intorno alla vicenda dell’aumento del prelievo fiscale per le Fondazioni bancarie si è creata una mobilitazione dal basso. Diversi tavoli regionali del Forum del Terzo settore (tra cui anche quello lombardo) hanno aderito alla campagna #menotassepiuerogazioni, per chiedere al governo di tornare indietro rispetto a una decisione considerata ingiusta e per sollecitare in fondo un trattamento fiscale non ingiusto nei confronti di chi fa attività filantropiche. Non fa polemica Giuseppe Guzzetti, dal 1991 alla guida di Fondazione Cariplo, che da quando è nata ha destinato qualcosa come due miliardi a 25 mila progetti, tra cui il fiore all’occhiello dell’housing sociale, che costituisce un nuovo modello di abitare all’insegna della sostenibilità, anche sociale. A Tempi Guzzetti rilancia: «Usiamo questi soldi che si vogliono prelevare con l’aumento della tassazione per realizzare insieme un grande progetto; come è stato fatto in passato con l’housing sociale; dedichiamoci insieme al welfare, ai giovani, o all’infanzia che secondo i dati recenti in Italia vive in una povertà da far paura. Pensiamo al lavoro per i nostri ragazzi, di fronte ad una disoccupazione giovanile inaccettabile. Non facciamo tagli lineari, dedichiamoci con minuzia ad un problema e cerchiamo di risolverlo insieme». In fondo è questa la ricetta che rende indispensabile il Terzo settore: cercare soluzioni condivise per far progredire tutta la società.

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1 commento

  1. Giuseppe

    Le considerazioni di Zamagni – sul fatto che ci sono fondazioni che funzionano e altre che sprecano (perdonate la semplificazione) – mi paiono in linea generale condivisibili, tranne la conclusione che ne trae per cui “è comprensibile che il governo, preso dalla necessità di fare cassa, agisca come abbiamo visto”.
    Comprensibile un corno! Un governo serio, che capisce la realtà del Paese, non può agire con questo criterio, che non è altro che quello del “buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”.
    In questo modo, si rimanda tutta la gestione del welfare al governo e alla sue agenzie, di fatto moltiplicando il volume di acqua sporca, senza più alcun controllo sul territorio.
    Un governo con gli attributi, invece, mette in campo un serio servizio ispettivo e sanzionatorio, e modifica i codici di procedura in modo da rendere veloce l’accertamento e la sanzione di comportamenti illeciti, cosa che vale anche per l’evasione fiscale, gli appalti truccati, ecc..
    Purtroppo, le iniziative di questo governo [ma anche dei precedenti Monti e Letta] ci dicono chiaramente che si vuole viaggiare verso uno stato fortemente centralistico, passando come carri armati sopra le autonomie locali, approfittando dell’esistenza di amministratori locali incapaci e corrotti. Ma in questo modo la corruzione non diminuisce, semplicemente gli incapaci e i corrotti si trasferiscono negli apparati centrali, restando meglio nascosti in un unico, grande calderone, molto più difficile da scoperchiare. A meno che non si voglia affermare che “quando c’era Lui” la corruzione non esisteva….

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