
Renzi aveva promesso una riforma al mese. Ecco quali sono finora i suoi (mezzi) risultati
«Non si esce con il passo della tartaruga da vent’anni di stagnazione». Lo ha dichiarato Matteo Renzi, l’altro ieri, a Montecitorio. Per uscire dalla crisi, «ci vuole lo spirito del maratoneta», aveva detto a Tempi, in agosto. Eppure, nonostante le promesse, a sette mesi dall’insediamento del suo governo, il 22 febbraio 2014, delle riforme attese (una al mese), annunciate, comunicate via twitter, il “piè veloce” Renzi non ne ha portata a termine una. Non che sia un compito facile: vuoi per le elezioni Europee, il calendario, i tempi parlamentari, le opposizioni silenziose, interne ed esterne al Pd, il premier finora ha conseguito effettivamente tre mezzi risultati: parte della riforma della pubblica amministrazione, parte della riforma del lavoro, prima approvazione della legge elettorale. La riforma costituzionale è ancora al vaglio del Parlamento. Parziali successi dell’esecutivo che, nei fatti, non hanno finora inciso sull’andamento dell’economia, della disoccupazione e del debito pubblico.
BONUS 80 EURO. Il 18 aprile, il Governo aveva varato le «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale». Tra parentesi, uno slogan: «Per un’Italia coraggiosa e semplice». Era il decreto sul “bonus 80 euro”. I mille euro netti in busta paga in più per 10 milioni di italiani – promessa mantenuta da Renzi – forse sono stati determinati per la vittoria del Pd nelle elezioni Europee di maggio. Non a risollevare l’Italia, se era quello l’obiettivo. A settembre lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha affermato che «gli 80 euro non hanno dato gli effetti sperati». «Siamo messi male e noi stiamo peggio della media europea», ha confessato Padoan. D’altronde basta scorrere i dati attesi della crescita dell’economia italiana per il 2014: -0,4 per cento rispetto al 2013. Recessione, per il terzo anno di fila.
JOBS ACT. «Serve un colpo di reni, Renzi vuole il Jobs act entro luglio», scriveva Europa, il 4 giugno. A metà settembre il disegno di legge che delega il governo a legiferare sul lavoro, allo scopo di diminuire il numero di contratti, cambiare il sistema degli ammortizzatori sociali e aumentare la flessibilità è ancora fermo in commissione Lavoro al Senato. Motivo? L’articolo 18. Lo stesso che undici anni fa impedì il compimento della Legge Biagi.
L’unico obiettivo raggiunto dal Governo Renzi è stato il varo della prima parte della riforma, con il decreto-lavoro, che ha modificato i contratti a tempo determinato e l’apprendistato. «Il nostro obiettivo è procedere per produrre il cambio di segno a fine anno», aveva dichiarato prima dell’estate il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Si riferiva al tasso di disoccupazione. Dalle rilevazioni dell’Ocse, dopo l’approvazione del decreto, nel luglio 2014, non si è però registrata alcuna inversione di tendenza nel tasso disoccupazione. In estate, anzi, la percentuale di disoccupati in Italia è salita al 12,6 per cento. 0,3 per cento in più rispetto al 2013. L’ultima previsione dell’esecutivo è che il varo completo del Jobs act non avvenga prima dell’estate prossima.
RIFORMA PA E BUROCRAZIA. Nonostante la «violenta lotta alla burocrazia» annunciata in primavera da Renzi, e nonostante la burocrazia sia uno dei primi motivi della difficoltà di fare impresa in Italia, l’unica misura più o meno a tema, varata per ora dal Governo in sette mesi, è stata la parziale riforma della pubblica amministrazione “Renzi-Madia”, passata definitivamente il 7 agosto. Il decreto denominato «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli Uffici Giudiziari» si è limitato a introdurre pre-pensionamenti, tagliare i distacchi sindacali e aumentare la mobilità dei dipendenti. Come per la riforma del lavoro, anche quella della pubblica amministrazione e della semplificazione burocratica è ancora ferma all’approvazione del disegno di legge che delega il Governo a legiferare sul tema.
SBLOCCA-ITALIA. Una delle ultime azioni dall’esecutivo volte a migliorare lo stato dell’economia italiana è lo “sblocca-italia”. Il decreto “sblocca” alcune infrastrutture già previste da accordi firmati dall’Italia, come la realizzazione del gasdotto Tap, trivellazioni e opere pubbliche. Sui risultati della misura però, pesano i dubbi legittimi dell’ex ministro Corrado Passera e degli analisti, come Tobias Piller, corrispondente del Frankfurter Allgemeine, che su tempi.it aveva osservato che «non è con pacchetti di leggine dai nomi più o meno creativi, come “sblocca”, “cresci” oppure “salva” Italia, che si esce dalla crisi».
SCUOLA. A pochi giorni dall’insediamento a Palazzo Chigi, Renzi diceva così: «Il governo deve darsi obiettivi ambiziosi e ha scelto tre settori: la riforma del lavoro e del fisco, la riforma elettorale, ma soprattutto una gigantesca scommessa educativa che parta dagli investimenti nell’edilizia scolastica». Mentre il Piano di Edilizia scolastica va avanti (918 interventi realizzati finora), la scommessa educativa annunciata da Renzi si è arenata, trasformandosi a settembre in un «patto educativo» con l’obiettivo di «dare al paese una Buona Scuola». Non si prevede una maggiore autonomia per le scuole paritarie o un cambiamento del sistema educativo. Il nucleo del “patto” sono invece 150 mila nuove assunzioni e un aumento della spesa pubblica. L’esecutivo si aspetta di attuarlo non oltre il settembre 2015.
GIUSTIZIA. Il capitolo Giustizia è il più complicato e il più difficile da risolvere. Per ora la riforma è soltanto una “ricetta” divisa in sette parti, approdata in Consiglio dei ministri a fine agosto. Si compone di sei disegni di legge e un decreto. L’obiettivo è concludere l’iter della riforma entro il 2018. Il primo decreto è stato pubblicato in Gazzetta il 12 settembre. Secondo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, l’obiettivo è quello di «degiurisdizionalizzare la domanda di giustizia, cioè togliere ciò che non è strettamente necessario davanti al giudice».
In realtà, non c’è nessuna misura per contrastare l’abuso della carcerazione preventiva, niente di rilevante per ridurre tempi e costi dei processi o per smaltire i 5 milioni di procedimenti civili arretrati. Il decreto si limita a ridurre le ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni, prevede l’obbligo di cercare un accordo per i legali delle parti in vertenza, prima di arrivare davanti al giudice e semplifica il divorzio.
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1 commento
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Nessun problema. Adesso mette la fiducia contro i lavoratori e se non ci riesce sputtana tutto e si va a votare. Se ci riesce esaurisce il compito ed esaurisce il suo ruolo di utile idiota.