
Renzi: «A me conviene andare al voto, all’Italia no»
L’accelerazione si è avuta verso la fine della direzione del Pd, poco dopo l’intervento lento ma efficace dell’ex presidente Gianni Cuperlo per la minoranza di sinistra. A quel punto il segretario Matteo Renzi ha stretto i muscoli e sbaragliato tutti gli altri maratoneti: «Il venti convocata direzione del partito in cui si parlerà con chiarezza di cosa pensa il Pd del governo Letta».
VENTI DI CRISI. Il titolo in prima pagina del Manifesto la dice lunga: “20 di crisi”, dove venti è la data di febbraio, ma anche il plurale del vento di tempesta che da tempo c’era tra Renzi e Letta. Inizialmente in segreteria ieri il segretario aveva cercato di stemperare questa tensione e smentire i pettegolezzi: «Il giudizio sul governo, sulla composizione del governo, sui ministri, spetta innanzitutto al presidente del Consiglio. Se ritiene che le cose vadano bene come stanno andando, vada avanti. Se ritiene ci siano modifiche da apporre, affronti il problema nelle sedi politiche e istituzionali, indichi quali e ne parliamo» aveva detto con parole che più democristiane non si può. La chiarezza è arrivata solo alla fine della direzione quando i toni sono stati ben diversi. «Io sto allo schema di governo che ci propone il presidente del Consiglio. Ho fatto riferimento allo schema di aprile: 18 mesi, uscita da crisi di cui Enrico vede i primi segni, per lo meno così ci ha detto oggi, e il pacchetto di riforme. Sto sullo schema lì che è quello dei 18 mesi, ne mancano 8» ha detto, con parole ben distanti da quelle usate fino a quattro giorni fa («Questa legislatura se fa le riforme può durare sino al 2018» dixit a La Repubblica). Poi l’ultimatum: «Se si vuol dire che il pacchetto di Renzi non va bene, io credo che sia opportuno dedicare la direzione del 20 a discutere del governo». Conoscendo il Pd, gli osservatori politici concordano unanimamente nel ritenere che si aprano due settimane di scontri sotterranei e lunghi coltelli. Certamente, come minimo, di alta tensione.
RENZI: «A ME CONVIENE IL VOTO, ALL’ITALIA NO». Stamattina il sindaco di Firenze ha anticipato in un twitter parte significativa di un’intervista al giornalista Giovanni Valentini (editorialista di Repubblica): «A me conviene che si vada a votare, ma all’Italia no. Siamo a un passo da una riforma storica, di senato, province, legge elettorale e titolo V». Nell’entourage più vicino al segretario del Pd da tempo si sostiene che Renzi non abbia intenzione di andare ad elezioni anticipate, quasi nel timore di evocare lo spettro del governo D’Alema del ’98 (nato dal “tradimento politico” di Prodi).
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