
Registro unioni civili di Milano. Il dibattito in Comune
Lunedì 20 luglio a Palazzo Marino c’era una sala stampa affollatissima e una tribuna libera al pubblico gremita, con il presidente dell’Arcigay Marco Mori ad applaudire il lungo intervento di Anita Sonego, Sinistra per Pisapia, con la voce rotta dall’emozione e una maglietta grigia su cui spiccava la scritta fluo “Love is a human right”. Il dibattito sul registro delle unioni civili ha creato molte aspettative. Anche perché se «questo registro non interferisce di certo con la legislazione», come ha ammette il consigliere Marilisa D’Amico, autrice della delibera, è anche vero che si vuole «mandare un segnale, perché le coppie omosessuali non sono tutelate, e sono le più discriminate. Vogliamo tutelarle a livello economico e sociale, per quanto le nostre competenze ce lo consentono. Del resto anche i nostri padri costituenti provenivano da storie e ideologie differenti, ma hanno trovato una sintesi nel rispetto di tutti».
In questi giorni si discuteranno gli emendamenti ed entro giovedì si andrà al voto con un testo corretto, ammorbidito, nel tentativo di accontentare un po’ tutti. Dopo un primo avvio in cui si è molto parlato di diritti civili, evocando l’Alabama dell’apartheid e citando anche l’eroina della lotta contro la discriminazione razziale Rosa Parks (anche se la famigerata parola “famiglia” non l’ha pronunciata nessuno) il secondo giorno di discussione sul tema ha visto un approccio meno mediatizzato, e più prettamente politico. «Mi hanno definito oscurantista, bigotto, chiuso, rispetto alle istanze dei cosiddetti nuovi diritti. Certamente faccio riferimento a una ispirazione valoriale di sono fiero, che ha dato un grosso contributo alla città di Milano e che darà un grande contributo al Paese». Così si è espresso Andrea Fanzago, vicepresidente Pd dell’aula di Palazzo Marino, motivando la sua astensione.
Secondo Fanzago il provvedimento non porterà giustizia, e si tratta in sostanza di un “vorrei ma non posso”. Tutti guardano a Milano «con ansia e timore, quasi che questa delibera possa magicamente risolvere le attese. Sappiamo bene che così non è. Sarebbe un errore, pensare di arrivare a questo risultato». Perché la delibera è effimera? Perché «non posso pensare che il Comune abbia, nei suoi regolamenti di accesso, dei punti discriminanti. L’ho chiesto, e non ho avuto risposta. Se ci fossero, sarei il primo a volermi eliminare, ma non mi risultano». Ieri il capogruppo di Sel, Ines Quartieri, ha parlato di sanità, prospettando, «forse», possibilità di intervento. «Non è un tema di competenza del Comune di Milano». Lo stesso discorso vale per i due argomenti principali, l’eredità e la reversibilità della pensione. «Nel primo caso serve una legge nazionale, nel secondo la competenza è del ministero del Tesoro. E non trovo convincente il ragionamento per cui Milano potrebbe fare da apripista, in questo senso». Fanzago ha proseguito con un esempio: «Due studenti giunti a Milano per frequentare l’Università, stando al testo della delibera, potrebbero accedere a tutta una serie di agevolazioni, esattamente come una coppia sposata. Anzi, più di una coppia sposata, dichiarando, si suppone, un reddito inferiore. Inoltre sarebbero equiparati allo status di parenti prossimi nel territorio del Comune di Milano. Paragonare situazioni così diverse, per natura, è palesemente un azzardo».
Manfredi Palmeri (Fli) ritiene invece che il testo presenti lacune significative: «Tanto che mi chiedo se è stato effettuato un confronto con i regolamenti presenti in altri Comuni, che sono più strutturati, anche perché hanno dieci anni di vita. Nonostante il potente ufficio del Comune possa vendere questo come un momento pionieristico». E il dibattito? «In quest’aula sono state sventolate bandiere ideologiche in modo così forte che il drappo è volato via, ed è rimasto il bastone. Con cui sono stati picchiati, metaforicamente, quelli che la pensavano in modo diverso». Anche Roberto Biscardini, consigliere comunale socialista eletto nel Pd, si è detto convinto che la delibera sia importante proprio in quanto «fondamentalmente politica». Anche se da una prospettiva diametralmente opposta: «Da socialista, ricordo che nel 1905 Filippo Turati presentò una mozione per sostenere il divieto all’insegnamento della religione nelle scuole di questa città. Si poneva questo problema, a Milano, perché il governo Giolitti, incapace di deliberare sul territorio nazionale, decise che ogni Comune avrebbe fatto da sé. È un po’ quello che sta avvenendo ora con il tema delle coppie di fatto».
Per Biscardini la delibera è una «lezione al Paese, visto che lo Stato è in ritardo». Alessandro Morelli, Lega Nord (partito che ha lasciato libertà di coscienza sul tema) ha attaccato «i cattolici di maggioranza, nascosti finché non hanno sentito i rintocchi dell’Arcivescovado. I soliti cattolici che si velano per il ramadan e non si accorgono che è da un anno che il Consiglio lavora a questo testo, di quattro pagine scarse, con scarsi risultati. E sostenendo, nero su bianco, che si tratti di un primo passo verso il matrimonio omosessuale». Secondo Morelli non si può ignorare la realtà delle coppie di fatto, ma va ammesso che «il vostro obiettivo è quello di un registro delle coppie gay. Non riuscirete a far passare questo testo come una richiesta di maggiori diritti: non ci sono diritti aggiuntivi, rispetto a quelli già esistenti». D’accordo con lui Armando Vagliati (Pdl): «questo registro non sposta i diritti di una virgola. Ha valore unicamente politico, e così facendo si illudono i cittadini. Che quando andranno in ospedale non saranno mai equiparati a una coppia sposata. Effettivamente il registro proposto a Milano non crea nuovi diritti(né nuovi doveri) per le coppie di fatto: semplicemente regolamenta l’accesso delle coppie che si iscrivono a una serie di servizi comunali (trasporti, sport e tempo libero, sanità e servizi sociali, eccetera). Non incide in alcun modo, insomma, sul diritto di famigliaRegistro o non registro». Per questo Carlo Masseroli, capogruppo del Pdl a Palazzo Marino, ha invitato il Comune a pensare meno alle unioni e più ai diritti: «Se chi non ha contratto matrimonio chiede a chi destinare la pensione di reversibilità, o quote di eredità, o di decidere chi potrà assisterlo in caso di malattia, io ci sono, prontissimo a firmare. Peccato che non si tratti di questo. Stiamo perdendo tempo, dimenticando priorità molto più concrete».
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