
Regeni, migranti, il rosso Bertinotti. Tre questioni aperte

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Siccome non c’è spazio per trattare bene una questione ne propongo tre, lasciandole aperte.
1- Cito Repubblica. Egitto, Regeni, Italia. Il New York Times Magazine a firma di Declan Walsh scrive che tre fonti dall’amministrazione Obama confermano che Washington aveva ottenuto «prove incontrovertibili sulla responsabilità egiziana», «non c’era alcun dubbio», e comunicò queste certezze senza «scoprire le fonti» al nostro governo. Che risponde: è vero, ma «nei contatti tra amministrazione Usa e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all’omicidio di Regeni non furono mai trasmessi elementi di fatto, né tantomeno “prove esplosive”». Il procuratore di Torino, Armando Spataro, mostra di non crederci e su Rep mette in campo la sua autorità e chiede di fatto di aprire un’inchiesta alla Procura di Roma per accertare se il governo, e cioè nello specifico Minniti, allora sottosegretario alla presidenza per i servizi, abbia trasmesso alla magistratura i dati ricevuti. Spataro non tiene conto di qualcosa che dovrebbe sapere o almeno immaginare: che dopo le intercettazioni per il caso Abu Omar del nostro capo dell’intelligence, gli americani non ci passano più alcun dato sensibile. Dov’è l’errore? Il tempismo del NYT per colpire l’Italia (e Minniti) dopo i successi sul fronte libico avallano l’ipotesi che il caso Regeni, e persino la sua orribile morte di ragazzo innocente, sia parte di una guerra molto occidentale (anglo-franco-americana) all’Italia.
2. Ha scritto papa Bergoglio nel documento sui migranti: «Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale». Molti hanno obiettato. In realtà è una questione antica. Francesco Cossiga me ne parlò a proposito di Aldo Moro e delle sue lettere. Cossiga sosteneva che Moro fosse coerente nel domandare a lui e ai politici cattolici di anteporre la salvezza di un padre rispetto alla sicurezza dello Stato. Obbediva alla sua concezione del primato della persona e della famiglia. Cossiga riteneva, invece, da cattolico liberale, la necessità di privilegiare la res publica.
3. Fausto Bertinotti è una grande persona, ed io l’ho sperimentato. Mi domando però come egli dopo Arcipelago Gulag, I racconti di Kolyma e soprattutto Vita e destino di Vasilij Grossman possa accettare di essere ancora comunista. È proprio vero che il cuore umano è un guazzabuglio. Poi c’è la grazia.
Foto Ansa
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