
Referendum contro le scuole paritarie di Bologna. A che gioco gioca il Pd?
Il 26 maggio prossimo i cittadini bolognesi saranno chiamati al voto per un referendum consultivo promosso da una serie di associazioni riunite nel nuovo “Comitato art.33” che vorrebbero eliminare il sostegno economico che, tramite specifica convenzione, l’Amministrazione Comunale destina alle scuole dell’infanzia paritarie della città.
La destinazione dei contributi comunali alle 27 scuole paritarie bolognesi per gli oltre 1.700 bambini che le frequentano è un passo significativo che la locale Amministrazione ha compiuto per colmare, in parte, quanto lasciato “incompiuto” dalla legge di parità (Legge 62 del 2000) sul piano economico rispetto alle scuole statali. La legge 62/2000, infatti, riconosce le scuole paritarie parte integrante del “Sistema nazionale di istruzione”, ma sul piano economico i fondi ministeriali annualmente stanziati, come noto, sono assolutamente insufficienti ad assicurare parità di retta, per i genitori, con le scuole statali e tantomeno il pareggio di bilancio alle scuole.
La scelta dell’Amministrazione comunale di Bologna ha consentito, negli anni, il mantenimento di rette accessibili alle famiglie che hanno scelto un percorso per i loro bambini, in linea con un progetto educativo dichiarato, contribuendo ad assicurare, concretamente, il diritto alla libertà di educazione sancito dalla nostra Costituzione Italiana.
Ancora, dal 2000, indubbiamente, si sono registrati rilevanti passi in avanti da parte della società, della politica, dell’opinione pubblica per cui pare appartenere al passato il tempo della aprioristica contrapposizione ideologica tra scuola a gestione statale e scuola a gestione privata: entrambe svolgono un’unica funzione che è pubblica. Non a caso, molte Amministrazioni locali riconoscono con apposite intese – le convenzioni – la scuola paritaria, in particolare la scuola dell’infanzia no profit, gestita da Congregazioni, Parrocchie e da altri soggetti del terzo settore, una irrinunciabile risorsa anche per consentire una scelta alle famiglie, nonché presenza indispensabile per consentire la piena scolarizzazione dei bambini in questa fascia di età: le scuole dell’infanzia non statali paritarie scolarizzano tuttora ben 660mila alunni, in migliaia di istituzioni presenti capillarmente sul territorio italiano.
E’ perciò sconfortante registrare la persistenza di resistenze ideologiche, pregiudiziali e antistoriche laddove alcuni esponenti politici sembrano voler sollecitare posizioni superate, estreme, magari per meri fini elettorali.
Se la Giunta bolognese, a guida Partito Democratico a partire dal Sindaco, Virginio Merola, affiancati dalla dirigenza locale e regionale del partito, sostengono la bontà della scelta in essere che ha conseguito ampia e condivisa risposta nei cittadini, non può non suscitare netta sorpresa la posizione – riportata dagli organi di stampa – della Responsabile nazionale scuola dello stesso partito, che si schiera con i referendari, in contradditorio anche con moltissimi altri Amministratori locali e i tantissimi sindaci PD che operano sul territorio, rischiando, di fatto, di far combaciare il termine “pubblico” solo con scuola “statale”. Eppure la Regione Emilia Romagna, per ben tre volte, unitamente alla FISM, ha affrontato la questione presso la Corte Costituzionale, dopo che il TAR Emilia Romagna aveva ammesso quesiti avanzati dalle Associazioni promotrici del richiamato referendum che anche negli scorsi anni tendevano ad eliminare i contributi locali alle scuole paritarie e, tutte e tre le volte, il giudizio della Corte è stato inequivoco: le questioni poste erano “manifestamente infondate”.
Bologna, 10 gennaio 2013
FISM PROVINCIALE BOLOGNA
FISM REGIONALE EMILIA ROMAGNA
FISM NAZIONALE
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