
Redditi fermi, ma c’è fiducia. Patrignani (Confcommercio): «Si facciano le riforme»

Fiducia al top ma ansia da inflazione. Così sintetizza la Confcommercio il contenuto dell’edizione 2023 del rapporto stilato con il Censis sulla fiducia e sui consumi delle famiglie. Il dato più eclatante è che il reddito reale è diminuito di 150 euro rispetto al 1995. Con l’effetto che il risparmio starebbe esaurendo il sostegno ai consumi e l’incertezza per l’inflazione e il rialzo dei tassi di interesse comprimendo le intenzioni di acquisto.
Abbiamo chiesto un commento ad Augusto Patrignani, presidente provinciale della Confcommercio di Forlì e Cesena, nonché membro del consiglio nazionale dell’associazione che in Italia riunisce oltre 700 mila imprese, attività professionali e lavoratori autonomi. Quando lo contattiamo ci risponde nel pieno dell’emergenza alluvioni che ha colpito la sua terra, la Romagna, e la sua città, Cesena, dopo l’esondazione del fiume Savio.
Da cittadino e rappresentante del mondo delle imprese come vive queste ore così drammatiche?
È una situazione apocalittica che speriamo possa finire al più presto. I danni sono veramente ingentissimi, specie per le attività al piano terra, e purtroppo abbiamo avuto anche dei morti. Seguiamo l’evoluzione degli eventi e, anche se le difficoltà non mancheranno, sono certo che tutto il territorio si rimboccherà le maniche e, con l’aiuto delle istituzioni, saprà risollevarsi.
Tornando al rapporto Censis-Confcommercio, il reddito reale non cresce da quasi trent’anni, anzi cala, ma il mondo è cambiato e con esso la struttura di costi che una famiglia, e le imprese, devono sostenere. Come leggere questo scenario?
Verissimo: il reddito reale, soprattutto negli ultimi vent’anni, è diminuito parecchio, specie se paragonato al costo della vita. Di fatto, la disponibilità economica delle famiglie è inferiore a un tempo, questo è poco ma è sicuro. Nonostante ciò, il Censis ci dice che la fiducia è ai massimi livelli, fatto che può sembrare per certi versi paradossale, ma è vero che negli ultimi due anni la fiducia è cresciuta. Forse perché, dopo il Covid, abbiamo pensato tutti a goderci un po’ di più la vita, perché “del doman non c’è certezza…”. Eppure resta il fatto che le intenzioni di acquisto sono in contrazione.
Tra guerre e preoccupazioni, che le famiglie si orientino al risparmio è comprensibile. Intravede dei rischi?
Se accantoniamo in risparmio quote di reddito potenzialmente destinabili agli acquisti i consumi diminuiscono, è ovvio; ma le intenzioni di acquisto sono in netta diminuzione anche rispetto al 2019, a prima del Covid. Dunque, vuoi per l’aumento dei tassi di interesse vuoi per l’inflazione, questa situazione sta già minacciando i consumi. Insomma, la fiducia resta alta ma c’è questo rischio.
È una propensione al risparmio diversa dalla proverbiale prudenza delle famiglie italiane nella gestione dell’economia domestica?
Ciò che emerge dal rapporto è un campanello d’allarme, una tendenza che, se confermata, potrebbe portare anche a una diminuzione del prodotto interno lordo. Finora il governo si è mosso bene, tanto che le previsioni sul Pil parlano addirittura di una crescita (+1,2 per cento nel 2023 secondo la Commissione europea, ndr) ed è anche grazie a manovre e sostegni di varia natura che la fiducia è rimasta alta, nonostante l’inflazione e il caro bollette.
Cos’altro si dovrebbe fare per scongiurare questo rischio di un calo dei consumi?
Bisogna mettere mano alle riforme in cantiere. Penso, in particolare, alla riforma fiscale e alla madre di tutte le battaglie che è la riforma della giustizia: c’è bisogno infatti di certezza della pena e di velocizzare i tempi, perché le nostre imprese hanno bisogno di regole chiare per potersi muovere, per decidere se investire o meno e lo stesso vale per gli investitori dall’estero. Sono due riforme vitali per il Paese.
Poi c’è il Pnrr.
Soldi che in parte devono essere spesi a fondo perduto, ma la maggior parte è a prestito: si tratta dunque di spenderli bene e in tempi corretti, per opere che diano un ritorno reale in futuro. Altrimenti il rischio è di vedere aumentare il nostro debito senza aver dato alcun vantaggio al Paese. Insomma, spendiamo i soldi del Pnrr se sono per investimenti reali. Diversamente sarebbe meglio non spenderli.
Settori come turismo, spettacoli e cultura stanno andando bene, ma com’è lo stato di salute del tessuto produttivo italiano?
La manifattura italiana è sempre stata ai primi posti e continuerà ad esserlo, a patto che si mettano le nostre imprese nella condizione di essere competitive. Dunque riforma fiscale e della giustizia restano due cavalli di battaglia importantissimi. Mentre il turismo e la cultura, infatti, non sono delocalizzabili, le imprese sì e molte in questi anni se ne sono andate all’estero. Bisogna fare in modo che questa propensione non ci sia. Ma se le leggi sono poco chiare e lunghe sono le durate dei contenziosi, non dobbiamo lamentarci che le imprese vadano in Olanda. È un paradiso fiscale? No, è un paese normale, mentre da noi imprenditori e cittadini pagano il 60/70 per cento di tasse. Uno strozzinaggio a cui va posta una fine.
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