Rapporto Svimez 2013: «Meridione a rischio desertificazione industriale»

Di Chiara Rizzo
18 Ottobre 2013
Secondo il rapporto, per la prima volta dal 1918 al Sud il numero delle nascite è inferiore ai decessi, crescono la massiccia migrazione dei giovani, la disoccupazione e la povertà delle famiglie. L'unico settore a tenere è l'agricoltura

 

Quasi come se fosse uscito da una grande guerra: è questo il ritratto del meridione italiano che emerge dal rapporto dell’Associazione per lo sviluppo industriale del mezzogiorno (Svimez) 2013 pubblicato ieri. Ci sono più morti che nascite, come non accadeva dal 1918; la migrazione verso il Nord Italia o Europa è massiccia, come negli anni ’50-’60; e il numero di occupati è sceso sotto i sei milioni, e questo non succedeva dal 1977, quando l’Italia usciva dalla crisi energetica. Non a caso la Svimez parla di “desertificazione” dell’economia.

 

NUOVI MIGRANTI. Negli ultimi vent’anni sono emigrati dal Sud circa 2,7 milioni di persone, in particolare nel 2011 circa 114 mila si sono trasferite al Centro-Nord, altre 50 mila (10 mila in più del 2010) all’estero, in particolare in Germania (26,6 per cento), Svizzera (12,8 per cento) e Gran Bretagna. Il 64 per cento di questi nuovi migranti ha un titolo di studio medio alto, spesso la laurea: nel rapporto sono elencate numerose singole città che hanno registrato un’emorragia di laureati. In pole position troviamo quindi Napoli (-97 mila), Palermo (-23 mila), Bari e Caserta (-14 mila). Si segnala uno strano fenomeno, quello dei pendolari a lungo raggio, ovvero delle persone che rimangono residenti al Sud, pur avendo un lavoro al Centro-Nord e che nel 2012 hanno raggiunto quota 155 mila.

 

DISOCCUPAZIONE. Nel 2012 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 899 mila unità, cioè 69 mila in meno del 2011, mentre sono circa 2 milioni e 750 mila le persone che nel paese hanno cercato lavoro. Nel primo trimestre 2013 il Sud ha perso ancora 166mila posti di lavoro, portando la quota degli occupati al di sotto dei 6 milioni, come appunto non accadeva dal 1977. Nel 2012 il maggior numero di posti sono stati persi in Sicilia (-38 mila 600 unità, con 1milione 394 mila occupati), e in Campania (-20 mila unità, con 1 milione 587 mila occupati), poi in Calabria (-11 mila unità e 566 mila occupati) e Puglia (-2 mila e 1 milione 237 mila).
È così che il Sud giunge a vantare il suo triste record sul Centro Nord: nell’Italia centro-settentrionale il tasso di disoccupazione nel 2012 è stato dell’8 per cento, al Sud del 17 per cento. Svimez segnala che queste cifre vanno però corrette, considerando anche una vasta area di popolazione disoccupata che non ha cercato lavoro negli ultimi sei mesi, sfuggendo così alle statistiche. Il tasso corretto al Centro-Nord sarebbe del 12 per cento, al Sud del 28,4 per cento. Sebbene il dato sia da depurare, la Svimez segnala che la disoccupazione giovanile per gli under 35 è salita al 28 per cento, e che fra gli inattivi il 33,7 sono giovani diplomati e il 27,3 per cento laureati.

 

POVERTA’. C’è una diversa distribuzione dei redditi tra Nord e Sud e per Svimez è nel meridione che si concentrano le sacche di povertà più grandi: nel 2012 il 14 per cento delle famiglie meridionali guadagna meno di mille euro al mese. Nel Centro-Nord la soglia scende al 5 per cento: quasi il 50 per cento delle famiglie meridionali in generale è monoreddito, con punte del 58 per cento in Sicilia, circa il 15 per cento dei nuclei del Sud ha un disoccupato in casa (al Centro-Nord solo l’otto per cento), inoltre il 12 per cento delle famiglie meridionali ha tre o più familiari a carico (al Centro-Nord sono il 4 per cento le famiglie numerose). Sono a rischio poverta nel Meridione il 23 per cento delle famiglie, quattro volte in più del Centro-Nord: in valori assoluti si tratta di 790mila nuclei sulla soglia della povertà assoluta.

 

UN PAESE PER VECCHI. Per tutti questi motivi il Sud ha visto perdere quel vantaggio quanto meno nella natalità del Paese che lo ha contraddistinto per decenni. Non solo perché il numero dei decessi ha superato quelle delle nascite, come non accadeva dal 1918, ma perché sono caduti proprio come l’anno che segnò la fine della Grande guerra i matrimoni (205 mila celebrazioni). Nel 2012 i bambini di età inferiore ad un anno sono stati 531 mila, cioè quanti gli anziani over 76: in dieci anni al Sud sono numerosissimi i comuni al di sotto dei 5 mila abitanti che hanno perso popolazione, per effetto della migrazioni. Tutti questi elementi in termini politici hanno una sola lettura, la necessità di una maggiore spesa di welfare per il sostentamento della popolazione anziana, rispetto al Pil delle regioni meridionali.

 

ECONOMIA. La differenza nel calo dei consumi finali è ridotta a quella generale del Paese, e al Sud è di mezzo punto in più (-4,3 per cento): però questo indice, osservando il periodo dal 2008 al 2012 è raddoppiato al Sud rispetto alla diminuzione che pure si è registrata nel resto d’Italia. Gli investimenti nello stesso periodo sono crollati del 25,8 per cento, in particolare nell’industria. Tutti i settori industriali sono stati drammaticamente segnati dalla crisi, con la perdita tra il 2009 e il 2012 del 20 per cento degli occupati, pari a 158.900 persone. È invece l’agricoltura che non solo segnala percentuali positive, ma che vede anche il meridione recordman nell’export a paesi stranieri rispetto al Centro-Nord. Il valore aggiunto del settore è cresciuto del 3,5 per cento, il doppio che nel resto d’Italia, con il 40 per cento del valore prodotto aggiunto nazionale, e il 46 per cento degli occupati nazionali di settore. Il Sud vede il pullulare di microimprese che non lavorano associate (le dimensioni medie delle imprese è di 6 ettari, contro i 10 del Nord), con produzioni ridotte di conseguenza (il 69 per cento è inferiore ad 8mila euro annui), il 17 per cento della produzione ortofrutticola italiana è in Sicilia, poi in Campania e Puglia (un altro 13 per cento), e nel 2012 il 46 per cento del vino italiano è stato prodotto al Sud.

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1 commento

  1. beppe

    se il meridione mettesse a frutto il paesaggio, l’arte e la gastronomia, investendo sull’agriturismo invece che su improbabili poli metalmeccanici, salveremmo l’ambiente e l’economia ( facendogli pagare un po’ di tasse ovviamente). meno forestali e più operatori turistici, meno burocrati e fannulloni comunali . meno parassiti . ma c’è da lavorare sul serio…..c’è qualche problema?

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