
Quell’Einstein «ateo e nemico d’Israele» celebrato dalla sinistra non è mai esistito
Fin dalla nascita dello stato d’Israele Albert Einstein ne fu un fervente sostenitore. Il suo biografo Abraham Pais ricorda che parlava di Israele come “noi” e degli ebrei come “il mio popolo”. Nel 1952, alla morte del primo presidente di Israele, lo scienziato Chaim Weizmann, il governo israeliano gli offrì la presidenza. Ovviamente egli rifiutò una carica così estranea al suo stile di vita ma ringraziò coloro che l’avevano «reso consapevole della sua anima ebraica». Francamente, stona che la rievocazione di colui che considerava il sionismo come «un nazionalismo il cui fine non è il potere ma la dignità e il benessere», sia stata affidata, per ben tre serate al Festival della Mente di Sarzana, a un antisionista e antipatizzante di Israele come Piergiorgio Odifreddi.
Il punto è che Odifreddi ha deciso di arruolare il più famoso scienziato del Novecento nell’esercito degli atei, come ha reso chiaro nella sintesi dei suoi interventi, pubblicata su Repubblica; e allo scopo è disposto anche a turarsi il naso. Ora, che Einstein – dopo una prima fase giovanile – avesse rifiutato la visione di un Dio personale e che non fosse dedito a pratiche confessionali, è noto e indiscutibile. Ma che la sua visione di orientamento spinoziano possa essere assimilata a un atteggiamento ateo o antireligioso è semplicemente ridicolo. Si può pensare quel che si vuole del panteismo, ma assimilarlo all’ateismo è una trovata che può essere cortesemente definita poco seria. Eppure, questo slogan da demi-monde filosofico è divenuto il cavallo di battaglia di coloro che vogliono ampliare l’esercito degli atei a colpi di arruolamenti forzati. Einstein osservò che «una persona religiosa è devota nel senso che non ha dubbi circa il significato di quegli oggetti sovrapersonali e di quei fini che non sono suscettibili di una fondazione razionale». E per lui questa dimensione di mistero era connaturata alla scienza. Nella scoperta delle leggi naturali egli vedeva emergere «il sentimento del “miracoloso”, che cresce sempre più con lo sviluppo della conoscenza». E aggiungeva che «qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli». Mentre lo scienziato è costretto a «riconoscere il “miracolo” senza poter individuare una via legittima per andar oltre». Pertanto, a suo avviso, «un conflitto tra scienza e religione non può esistere. La scienza senza la religione è zoppa, e la religione senza la scienza è cieca». Osservazione profonda, perché significa che la ragione ha bisogno di muoversi nella consapevolezza dell’esistenza di una dimensione soprannaturale e che l’unico strumento umano di conoscenza è la ragione: la religione e la ragione non possono essere in conflitto. Più o meno quel che ha detto il Papa a Ratisbona.
A ragione Pais osservava che, alla luce della sua stessa definizione, «Einstein stesso era ovviamente un uomo profondamente religioso». Ma queste cose Odifreddi si è guardato bene dal menzionarle, tantomeno la critica mossa agli “atei di professione” che gli si attaglia come un vestito di sartoria. Per lui le sfumature e la complessità sono una perdita di tempo. Nelle sue mani Einstein è diventato il presidente d’onore dell’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici e razionalisti). Ci sarebbe da ridere se questo non fosse il piatto unico servito nei festival scientifico-culturali della sinistra che hanno ormai fagocitato d’imperio tutta la cultura “popolare” del paese.
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