Quella testa di Moro

Di Newbury Richard
11 Gennaio 2001
Giovanni Paolo II lo ha indicato come santo patrono dei politici. Lui che politicamente fu uno sconfitto. Tommaso Moro raccontato da un metodista inglese all’epoca in cui (per la prima volta dopo Tommaso Moro) alla Camera dei Comuni di Londra è stato eletto un Presidente cattolico. Ritratto di un grande amico e consigliere di Re, fatto decapitare dal medesimo amico Re per buone ragioni di Stato

Mentre il Papa ha ricordato san Tommaso Moro facendo di lui il Santo Patrono degli uomini politici, gli inglesi lo hanno ricordato con l’elezione del primo Presidente cattolico della Camera dei Comuni dai tempi in cui egli stesso rivestì quell’incarico. Tommaso Moro, realmente l’“uomo per tutte le stagioni” di Enrico VIII. Il prezzo dell’insuccesso politico alla corte del Re Enrico era la morte, dunque in cosa Tommaso Moro si è distinto dagli altri che “persero la testa”, come il suo successore Tommaso Cromwell, l’uomo che trasformò uno strappo con Roma in una Riforma e venne decapitato cinque anni dopo di lui, nel 1540?

Lo Statesman e l’amico Erasmo, il “politico”
Il suo intimo amico Erasmo, che come lui desiderava riformare la Chiesa dall’interno, lo aveva profeticamente messo in guardia dall’attrazione fatale di una carriera politica alla Corte dei Tudor. Certo è interessante chiedersi se il fustigatore dell’“Elogio della follia” avrebbe affrontato il patibolo per difendere la supremazia del Papa o sarebbe stato – come probabilmente era nella realtà – più “politico” (mentre il termine “Statesman” deriva dall’Umanesimo e dagli studi dei testi greci e latini abbracciati con entusiasmo sia da Tommaso Moro che da Erasmo, “les politiques” – i primi politici – erano gli uomini del partito della Regina Caterina de Medici che una generazione più tardi cercò di trovare un modus vivendi tra cattolici e protestanti durante quelle guerre di religione francesi che stavano andando per le lunghe). Tommaso Moro era figlio di un avvocato civile del quartiere di Cheapside – il mercato – nel cuore di Londra. Era esponente di quella ambiziosa classe media urbana in ascesa che divenne la nuova classe dirigente sotto i Tudor, rimpiazzando progressivamente l’elite militare feudale. A scuola i suoi due migliori amici furono l’erudito John Colet, il fondatore della St. Paul’s School, e William Latimer, condannato al rogo come Vescovo protestante dalla Regina Maria “la Sanguinaria”. All’età di 13 anni entrò tra i familiari di Thomas Morton, Arcivescovo di Canterbury e Lord Cancelliere che divenne il padrino di questo vivace ragazzo e lo mandò all’Università di Oxford nel 1492. Qui Tommaso Moro studiò greco, guidato dal grande umanista Thomas Linacre e da quel William Grocyn che aveva portato da poco la lingua di Platone dall’Italia all’Inghilterra. Oltre ai classici, Moro studiò anche Francese, matematica e imparò a suonare la viola e il flauto. Suo padre, almeno secondo Erasmo che studiava greco a Cambridge, temeva che l’amore per il greco e per l’Umanesimo potesse corrompere l’ortodossia del figlio. Certamente la parola “Chiesa” nella lingua greca aveva un significato molto diverso rispetto allo stesso termine nella Vulgata. Ma forse, più concretamente, il padre temeva che questi interessi distraessero il figlio dal costruirsi una carriera da avvocato e dopo due anni Tommaso Moro venne richiamato alla Inn of Court, la scuola forense londinese, dove diventò procuratore legale in tempo record e ottenne il Lettorato in Legge.

Quasi prete, avvocato, sposo. E breve vedovanza
“Per suo divertimento” Tommaso Moro scrisse poesie in latino e inglese e una biografia di Pico della Mirandola. Passava il suo tempo con Linacre, Grocyn, Colet (che divenne “il consigliere per la sua vita”) e comunque la soddisfazione più grande gli venne nel 1497 dall’incontro con Erasmo, con il quale, due anni dopo, offrì un poema al futuro Re Enrico VIII, che all’epoca aveva nove anni. In quello stesso 1499 Moro attraversò una crisi spirituale, meditò di farsi prete, si trasferì a vivere vicino alla Certosa, indossò il cilicio, praticò l’autoflagellazione e tenne anche lezioni nella chiesa di Grocyn sul De civitate Dei di Agostino, probabilmente il germe dell’ispirazione per l’Utopia. Nel 1503, dopo quattro anni di contemplazione religiosa, More si gettò negli affari secolari. L’ambizione, il disgusto davanti alla corruzione della Chiesa e l’avversione per il celibato sono le ragioni che solitamente vengono date per spiegare questa decisione. Tuttavia egli rimase un pio cattolico osservante e mentre componeva epigrammi satirici contro gli abusi dei prelati, insieme a Erasmo e Colet credeva che l’alto clero sarebbe stato capace di riformare la Chiesa dall’interno. Fu un avvocato di grande successo che arrivava a guadagnare 400 sterline all’anno e nel 1504 venne eletto al Parlamento. Qui riuscì a far respingere le tasse volute da Enrico VII e a ridurle da 113,000 a 30,000 sterline. Il Re allora si vendicò di questo “sbarbatello” arrestandolo e multando il padre di 100 sterline. Nel frattempo, nel 1505, Tommaso Moro aveva sposato Jane Colt. Avrebbe preferito la sorella più giovane della donna, ma come era proprio del suo carattere si impietosì per Jane che avrebbe visto sua sorella minore sposata prima di lei. Jane gli diede 4 figli prima di morire nel 1511 e Tommaso grazie a una dispensa speciale si risposò un mese dopo con una vedova di 7 anni più vecchia di lui, Alice Middleton, che trovò sempre piuttosto difficile comprendere il suo brillante e intelligente marito.

Alla corte di Enrico VIII
Nel 1509 Enrico VIII divenne Re e nel 1510 Moro fu nominato sotto-sceriffo o avvocato della Città di Londra. Aveva già attirato l’attenzione del sovrano grazie al suo raffinato epithalamium in occasione del matrimonio di Enrico con Caterina d’Aragona. Nel 1514, quando scoppiarono alcuni problemi tra i mercanti della città di Londra e quelli stranieri, il “giovane Tommaso Moro” ben conosciuto dal Re e dal suo Cancelliere, il cardinale Wolsey, venne mandato in missione diplomatica a Bruges, Bruxelles e Anversa, dove scrisse Utopia. Al suo ritorno il Re gli offrì un vitalizio di 100 sterline all’anno, Tommaso fece sapere tramite Erasmo che non lo accettava ed Enrico VIII che non era uomo incline a incassare rifiuti di nuovo sistemò le cose alla sua maniera, esautorandolo. “Questo è il modo in cui i Re beneficiano i propri amici, questo significa essere stimato dai cardinali”, scrisse a Erasmo con rammarico. Nel 1518, quando Tommaso vinse una causa contro il Re che voleva impadronirsi di una nave appartenente al Papa a Southampton, Enrico VIII decise di averlo al suo fianco e lo nominò tra i membri del Consiglio Privato con l’incarico di esaminare tutte le petizioni presentate al sovrano. Il Re lo fece poi Cavaliere nel 1521 e amò pranzare insieme a lui conversando di astronomia, geometria e questioni religiose. Poteva accadere che Enrico facesse un salto a trovare Tommaso Moro a casa sua senza alcun invito e camminasse col braccio intorno al collo di lui. Ad ogni modo Tommaso si faceva poche illusioni, come raccontò a suo genero nel 1525: “Se il sacrificio della mia testa permettesse al Re di ottenere delle conquiste in Francia, senza dubbio la perderei”.

Dalla parte del popolo
Grazie al suo saggio consigliere il Re fu indirizzato a rifiutare chi si opponeva all’Umanesimo, mentre Tommaso Moro usava la sua carica per favorire le petizioni popolari, ad esempio facendo in modo che il Consiglio fermasse le recinzioni di suolo pubblico per il pascolo delle pecore. Come scrisse nell’Utopia: “le pecore mangiano gli uomini”. Anche il Legato pontificio cardinale Wolsey, Lord Cancelliere, fu colpito da Tommaso che venne nominato Presidente della Camera dei Comuni, incarico che in questo caso svolse per sostenere la volontà del Re. Nel 1521 fu Moro ad ispirare a Enrico VIII quella confutazione di Lutero dove venivano difesi i 7 sacramenti che valse al sovrano inglese il titolo di Defensor Fidei per mano di Leone X. Inoltre Enrico entrò in una scurrile e vivace guerra polemica con William Tyndale per la sua traduzione della Bibbia e diligentemente condannò molti eretici al rogo. Nel 1529 quando Wolsey cadde in disgrazia e morì, Tommaso Moro fu il primo laico a diventare Lord Cancelliere (Capo della Giustizia) in Inghilterra.

“Il grande problema del Re”
Enrico VIII, il cui padre aveva fondato la dinastia Tudor dopo mezzo secolo di guerra civile, aveva sposato la fidanzata del suo ultimo fratello Caterina d’Aragona grazie a una dispensa sulla consanguineità avuta da Papa Giulio II. Caterina gli aveva dato una figlia, Maria, ma nessun maschio e ciò significava che il regno sarebbe passato a chiunque l’avesse sposata, come era da poco accaduto con Anna di Bretagna e Margherita di Borgogna. Enrico era convinto che Dio lo stava punendo e che la dispensa di Giulio II non era valida. Aveva bisogno di un erede maschio e Anna Bolena sembrava la fattrice ideale, come poi dimostrò di essere dando alla luce Elisabetta I, sebbene, cosa a lei fatale, non l’atteso erede maschio. Comunque il Papa era nelle mani di Carlo V, nipote di Caterina d’Aragona, e il legato pontificio Wolsey non riuscì a chiudere con un successo il “grande problema del Re”. Tommaso Moro fin dal 1526 aveva sempre fatto intendere con chiarezza che non riteneva valida la causa del Re e quando Enrico VIII col suo Parlamento del 1529 cominciò a mettere sotto pressione il Papato fu lasciato “libero” anche se di fatto divenne sempre più isolato e dopo 2 anni e mezzo rassegnò le dimissioni da Cancelliere.

Morte da traditore
Wolsey per la prima volta aveva riunito la Chiesa inglese sotto il suo controllo centralistico. Adesso, al suo Segretario Tommaso Cromwell, Segretario del Re e segretamente luterano, non rimaneva che suggerire la sostituzione del Papa col Sovrano inglese. L’Atto di Supremazia del Parlamento dichiarò reato di tradimento il mettere in questione il nuovo titolo del Re ed effettivamente soltanto 40 monaci del Monastero Certosino di Sheen, il Vescovo Fisher di Rochester e Tommaso Moro rifiutarono di recitare il giuramento ed ebbero la morte riservata ai traditori. I monaci furono impiccati, sventrati e squartati, Fisher e Moro vennero decapitati nel 1535. Tommaso morì pronunciando parole di scherno. “Ti prego di accompagnarmi di sopra senza che io corra pericoli” disse all’ufficiale che lo conduceva al patibolo, “per quanto riguarda la discesa, lasciami fare da solo”. Poi tolse la sua barba dal ceppo perché “lei non ha mai commesso tradimento”. Secondo Erasmo, Tommaso Moro fu davvero “un secondo Democrito, sempre pieno di gioia, eccellente nelle battute salaci, e sempre a suo agio nel conversare con uomini di ogni rango”.

Un’internazionalista medievale
Tommaso Moro non aveva una visione irrealistica della possibilità che gli uomini di stato riuscissero a sradicare pratiche e opinioni malvage “nello stato e nei consigli dei principi”. Era un conservatore intelligente, amante del popolo e della pace; desiderava il benessere di tutte le classi sociali ma non considerò mai – al contrario di Tommaso Cromwell – la possibilità di un cambiamento rivoluzionario nella chiesa o nello stato. L’adesione di Moro ad un’avanzata tolleranza religiosa nella sua Utopia mentre perseguitava con veemenza i protestanti deve essere letta in questa luce. Nonostante la sua adesione all’Umanesimo Tommaso Moro era un internazionalista medievale. Comunque si potrebbe dire che non fu capace di vedere lo sviluppo delle chiese nazionali intorno a lui, sia quelle cattoliche come la chiesa spagnola del cardinale Ximenes e la gallicana di Francesco I dopo il Concordato di Bologna del 1515, sia quelle protestanti come in Inghilterra e in Germania. Carlo V progettò il suo Consiglio nella città imperiale di Trento nel tentativo vanificato dal Papa di creare un compromesso con la chiesa tedesca. Condannato a morte dieci anni prima che il Concilio di Trento venisse finalmente convocato, Tommaso Moro è stato un testimone coraggioso durante quella Riforma Cattolica che ha preceduto la Controriforma conclusasi imprevedibilmente con la sopravvivenza del Papato. Credeva in una Chiesa semper reformanda e riteneva che gli scismi conducono alla guerra.

Moro, Lutero, Calvino. Uno stesso problema di coscienza?
Richard Marius, editore per Yale dell’Opera completa di Tommaso Moro e di un’autorevole biografia, inserisce Moro nel suo contesto storico religioso e lo vede come un contemporaneo di Martin Lutero, proprio come Calvino e Loyola, ovviamente contemporanei nella loro ri-affermazione di strutture – dal basso all’alto e dall’alto verso il basso – per obbedire alla Volontà di Dio. “Un uomo o una donna devoti nel XVI secolo devono essere stati colti da dubbi tormentosi al sorgere in loro della tentazione di non credere più alla cristianità. La dottrina della giustificazione per sola fede portava con sé la sicurezza che la Grazia di Dio può prendersi cura anche di questi dubbi e che il cristiano con le sue convinzioni in balia delle onde non viene trascinato all’inferno dalle sue esitazioni. Poiché questo era un altro dei grandi paradossi di quell’epoca: che chi credeva era talvolta portato a pensare che l’incredulità potesse condurlo alla dannazione. Ci sono molte chiare testimonianze di come Lutero abbia combattuto questa lotta tra fede e incredulità per tutta la vita e di come Tommaso Moro abbia condotto un’identica battaglia. Ed è possibile guardare all’intero XVI secolo non semplicemente come ad un’età di crisi circa l’interpretazione della religione cristiana, ma come a una crisi del credere stesso”. Le prime parole che Enrico VIII disse a Tommaso Moro quando entrò nella Corte reale furono: “possa egli prima guardare a Dio e dopo dentro di lui”. Quest’ordine di priorità si è dimostrato essere quello che Tommaso Moro stesso considerava la ragione della sua disfatta, perché “ogni vero e buon suddito è tenuto ad avere più rispetto verso la propria coscienza e la propria anima che non verso qualsiasi altra cosa al mondo”.

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