Quella strana grazia sorpresa in tante vite normali travolte dal dolore

Di Caterina Giojelli
14 Ottobre 2020
Recensione di "Niente di ciò che soffri andrà perduto", il nuovo libro di Costanza Miriano sul mistero della croce (e della resurrezione)
Cristo porta la croce di El Greco, particolare

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Sapete che c’è, che Costanza Miriano è il terrore delle femministe di tutto il pianeta ma dovrebbe esserlo dei tre demoni baudelairiani, dissolutezza, conformismo filisteo, estetismo, custodi degli infernetti del bordello, della drogheria e del Parnaso, e per una ragione molto semplice: è stata morsicata dal cielo. Mentre una cricca di inacidite e cagliate colleghe di mondo sta ancora cercando una spiegazione scientifica al successo della bella giornalista e inarrestabile scrittrice che mentre corre, lavora, alleva figli, brucia pasti, innamora il popolo e fa incazzare i salotti, Costanza Miriano pubblica il suo settimo libro, Niente di ciò che soffri andrà perduto (Sonzogno), per continuare a parlare delle cose minute, di “mistica della vita quotidiana”, cioè di noi, di persone eccezionali, canaglie e fratelli maggiori, che hanno fatto di sofferenza salvezza una grazia ben strana («ah, bello, un libro sulla croce! Andrà a ruba!», ha commentato il marito che dovrebbe entrare di diritto nei paper dei personaggi più amati della Storia) eppure accessibile a tutti (infatti il libro sta andando a ruba).

Copertina del libro di Costanza Miriano Nulla di ciò che soffri andrà perduto

Tra un parcheggio in Alto Lazio, il diritto sancito dalla Costituzione di 49 paesi di lamentarsi e la speranza di finire un giorno a bere Diet Cherry Coke con santa Teresa d’Avila, Miriano ha deciso di raccontare ciò che è più facile vedere nelle vite degli altri, specie se gli altri sono le persone che ami. Il libro racconta le vicende di Caterina, sopravvissuta a un mostro di padre e alla tentazione di mandare a ramengo matrimonio e figli con l’adulterio; quella di Gabriella, abbandonata dal marito per una con tutto l’armamentario del caso; quella di Laura, appartenente alla specie «no no, non ti preoccupare, non è tanto pesante questo elefante di ghisa, lo sposto da sola», che ha attraversato il deserto della prova quando il marito è stato atterrato da un ictus; quella di Carmen, che «ha fatto un frontale con la malattia quando la sua vita era lanciata a gran velocità verso tutt’altro»; quella di Elena, una cipensoio («crocerossina avanzata turbo 4×4»), schiava di un matrimonio sull’orlo del fallimento e dei debiti, quando arriva l’infarto; quella di Anna, un marito che considera la sua fede e le sue preghiere a Dio «chiacchiere con l’amico immaginario»; quella di Paola, scorticata viva dal dolore e dalla malattia del suo bambino; e quella di Enrico, che amava veramente sua moglie e ora ha dovuto imparare a ricordarsi dei pigiama party e comprare assorbenti, affrontare un figlio grande con problemi di alcol e una piccola con problemi dell’apprendimento.

Di tutte queste cose scrive Miriano, annodando salde le vite dei suoi amici a quelle dei santi e dei beati che tanto ci assomigliano: Elisabetta Canori Mora, Benedetta Bianchi Porro, Giuseppina Bahkita, Elisabetta Leseur, David Buggi e molti altri, «che hanno capito che Dio ci fa dei regali, solo che non li incarta nei problemi». È un libro pieno di quella grazia su cui noi canaglie ipocondriache vorremmo mettere le grinfie, un libro che finisce bene, cioè scatena la gioia piena. Questa sconosciuta alle inacidite colleghe di Miriano.

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