
Quella montagna di sassolini che si è tolto Calogero Mannino

Calogero Mannino è innocente, per «non aver commesso il fatto». Questo dice la sentenza che ieri ha assolto l’ex ministro Dc dall’accusa di aver avviato la trattativa tra Stato e mafia. I giudici non hanno creduto alla ricostruzione dei pm Antonio Ingroia prima e Nino di Matteo poi, che per lui aveva chiesto una condanna a nove anni. Questo dice la sentenza. Anche se oggi Marco Travaglio firma sul Fatto un editoriale intitolato “Il fatto sussiste”. Anche se Ingroia dice a Repubblica che lui il processo lo rifarebbe. Anche se don Luigi Ciotti cela il suo disappunto spiegando che «mi piacerebbe che in questo paese ci fosse un maggior investimento per la ricerca della verità». Maggior investimento? Un quarto di secolo e chissà quanti soldi pubblici spesi vi paiono pochi?
Mannino è scatenato. Ieri, subito dopo l’assoluzione, ha cominciato a togliersi quella montagna di sassolini che aveva nelle scarpe. Ha 77 anni e da venticinque è sotto processo. Ma in tutte le interviste rilasciate ieri, e che compaiono oggi sui giornali, Mannino è sempre molto attento a non generalizare. Non ce l’ha con la magistratura, ce l’ha con alcuni pm e con alcuni giornalisti. Di cui fa nomi e cognomi.
STORIA, NON CHIACCHIERE. «Difendersi è un lavoro che ti occupa la giornata intera», dice al Foglio. «Vai a Roma, incontra gli avvocati, raccogli i ritagli dei giornali, procurati i documenti, nulla può essere lasciato al caso. Ho trascorso così gli ultimi venticinque anni. Che cos’è questa se non una persecuzione?». E poi: «In questi due anni mi è stato impedito di vivere. La nevrosi mi ha tolto il sonno, mi aggiro per casa alle due di notte, ingoio del pane per calmare l’ansia. Se mi avessero ucciso non avrei patito il medesimo travaglio».
Mezzo secolo alla sbarra, lui, che la mafia l’ha sempre combattuta, come dice a Repubblica: «Nella campagna elettorale del 1991 noi (della Dc, ndr) abbiamo tappezzato la Sicilia con manifesti con su scritto: “Contro la mafia, costi quel che costi”. Noi abbiamo sostenuto il maxiprocesso, noi abbiamo portato Giovanni Falcone al ministero di Grazia e Giustizia, noi abbiamo contribuito all’istituzione della Direzione nazionale antimafia e della Dia. La mafia si è vendicata e io sono rimasto stritolato tra l’offensiva di Cosa nostra contro la Dc e il progetto di destrutturazione del nostro partito portato avanti in quegli anni da esponenti del vecchio Pci. Questa è la storia, il resto sono chiacchiere».
IL GUITTO TRAVAGLIO. Mannino è un fiume in piena. Come dargli torto? «Chi combatte apertamente la mafia – dice ancora al Foglio – si ritrova alla sbarra accanto ai mafiosi. Contro di noi hanno puntato il dito pm e criminali in una occasionale convergenza dei contrari». “Convergenze dei contrari” è un’espressione magnifica, su cui si dovrebbe riflettere e su questa, sì, “fare un po’ di storia”. Non gli sceneggiati o gli spettacoli cui ci siamo abituati. Spettacoli imbastiti da chi? Anche su questo Mannino è esplicito: «Mi hanno rimproverato perché ho definito Travaglio un guitto, un commediante. Ma come potrei chiamare uno che recita a teatro la requisitoria del pm ancor prima che sia esposta in tribunale?».
L’INTERVISTA PIU’ BELLA. L’intervista più bella, Mannino l’ha rilasciata ieri sera a Radio Radicale. Nel suo processo, ha spiegato, «ci sono aspetti che meriterebbero una riflessione pacata e attenta, a partire dal Csm. Ci sono atteggiamenti ostinati di pubblici ministeri, uno di questi pubblici ministeri mi insegue da oltre 20 anni. È probabile che questo magistrato adesso chieda di essere trasferito in Corte d’appello, uno dei pubblici ministeri che è assuefatto alla condanna degli innocenti ha detto che ci sarà appello, senza conoscere le motivazioni (il riferimento è a Di Matteo, ndr). Si tratta di pubblici ministeri che invece di constatare l’errore, procedono per partito preso con un modo che porta all’errore. Su questo errore, Teresi e Di Matteo si attestano senza guardare, una ostinazione accusatoria. Sono stato assolto in tribunale, tre volte in appello e due volte in Cassazione, questo non basta ad alcuni pubblici ministeri».
Un passaggio interessante Mannino lo ha anche dedicato al gup Piergiorgio Morosini, che l’ha rinviato a giudizio: «Morosini aveva tutto per liberarmi da questo processo. Ha preferito, con uno stile che ha giovato alla sua figura e alla competizione elettorale in cui era impegnato in quel momento, disporre il mio rinvio a giudizio. Però, in quell’atto ha detto chiaramente (ai pm, ndr): “Provate le accuse a Mannino”». Oggi Morosini fa parte del Csm. Le prove, i pm non le hanno trovate.
Mannino ha concluso il colloquio ringraziando lo «Spirito Santo», che «ha illuminato un giudice che ha trovato non solo la forza per comprendere, discernere i documenti, le requisitorie, le arringhe e le mie personali dichiarazioni, ha trovato il coraggio di resistere alle pressioni ambientali (…) che ostinatamente hanno elaborato la dottrina della trattativa senza elaborare gli avvenimenti». Mannino, da buon cattolico, ha terminato ringraziando gli avvocati, la famiglia e «il Signore che mi ha dato la forza di resistere». Lo ha detto a Radio Radicale. Apoteosi.
Foto Ansa
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