Quel ramo della magistratura

Di Mario Mauro
30 Ottobre 2003
La sentenza del Tribunale dell’Aquila sulla rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche meriterebbe solo una precisazione di carattere normativo per ricordare le leggi in vigore nel nostro paese

La sentenza del Tribunale dell’Aquila sulla rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche meriterebbe solo una precisazione di carattere normativo per ricordare le leggi in vigore nel nostro paese. Meriterebbe questo se solo di questo si trattasse. In realtà la sentenza è una “occasione” per sottolineare altro, all’insaputa sia del magistrato in questione, sia del Presidente dell’Unione dei musulmani in Italia. E questo “altro” sì che merita una riflessione.
Questa sentenza ci dice che in crisi non è il rapporto tra cristiani e musulmani, rapporto che, soprattutto grazie all’instancabile opera di Giovanni Paolo II, non è mai stato così chiaro. In crisi è il concetto di giustizia e il sistema giudiziario italiano. In presenza di una legge dello Stato (cfr. il Regio decreto del 30 aprile 1924, confermato e riconfermato da un parere del Consiglio di Stato del 1988, da una Sentenza della Cassazione del 13 ottobre 1988 e da una circolare del Miur del 3 ottobre 2002) l’iter adeguato, in caso di dubbio di costituzionalità, è il ricorso alla Corte Costituzionale, non l’emissione di un provvedimento d’urgenza. Come invece ha fatto il magistrato dell’Aquila, perseguendo così una concezione spettacolare della giustizia. Quella concezione che pretende di fare della giustizia l’unica fonte della morale e che da anni vuole modificare non solo il fare politica, non solo il costume, ma anche i valori e i sentimenti di un popolo. Di una legge si tratta e le leggi possono essere eventualmente modificate, ma in sede parlamentare, con il concorso di tutte le rappresentanze democraticamente elette, non a colpi di sentenze di tribunali perché, in questo caso, i tribunali si avocherebbero una competenza che non è la loro. è questo che la sentenza dell’Aquila porta scopertamente, ancora una volta, alla luce. Ma la sentenza in questione ci dice ancora altro. Ci dice che essa è il frutto, l’ultimo in ordine di tempo, di una mentalità oggi imperante che ha prodotto, tra le altre cose, un concetto di tolleranza astratto e quanto mai impraticabile. Il provvedimento del giudice dell’Aquila e la tenacia con cui molti, anche alcuni governi (le cui lobby a Bruxelles e a Strasburgo noi europarlamentari conosciamo molto bene), perseguono l’obbligo di negare le radici cristiane dell’Europa sono accomunate da questa stessa mentalità che ha sostituito all’essere cristiani, e perciò appassionati al destino di tutti, il nulla di un formalismo ateo, vero e proprio fondamentalismo del nulla, inevitabilmente destinato a perdere il confronto con gli altri fondamentalismi.

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