Quel momento di verità in un quarto di secolo di «ipocrisia paurosa»

Di Luigi Amicone
29 Maggio 2017
Dalla confessione di Mieli al monito di Napolitano: «Tutti adesso gridano contro l’abuso delle intercettazioni e della pubblicazione. Ma è una questione aperta da anni e anni»

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Fa fede la data di emissione dell’allora “francobollo” settimanale Tempi. Edizione del 1° aprile 1998. E non è proprio un pesce d’aprile. È la confessione di un direttore del Corriere della Sera che per ben due volte ha cambiato il corso della nostra storia. Supportando la “rivoluzione” di Mani pulite prima. E poi, estate ’94, regalando a Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio appena plebiscitato dagli italiani, la notizia in esclusiva dell’“avviso di garanzia” di un’indagine che nel 2001 sarà archiviata per «assoluta insussistenza dei fatti».

Bene, questo numero primo del giornalismo stranamente un bel giorno prescelse il direttore di Tempi per vuotare il sacco. Era passato un anno da che si era disfatto della nobile ma impegnativa arte di dirigere il più paludato e – si dice ancora anche se Marta Sordi ci diceva sempre «no, grazie, leggo solo il Giornale» – autorevole quotidiano nazionale. Nella magica ma non ancora primavera del ’98, Paolo Mieli ricopre la posizione di direttore editoriale di Rcs Rizzoli. Dopo di che, a rendere la cifra della sua eccezionale sterminata confessione a Tempi (ci occorsero due numeri per offrirla ai lettori) sono sufficienti pochissimi indizi virgolettati.

«Ci ho creduto e l’ho sostenuta. Ma adesso capisco che Mani pulite non è il nuovo, è la vecchia storia dei buoni contro i cattivi». «Perché ci sono voluti tanti anni per capire che anche il Pci-Pds non era estraneo al sistema di Tangentopoli?». «Con Berlusconi abbiamo esagerato, mentre con l’Ulivo siamo stati troppo cortigiani».

Non ci sarebbe altro da aggiungere. Se non che, passato lo scandalo di giornata, di quella confessione non si seppe più nulla. E tutto è continuato a scorrere sotto il segno del governatorato mediatico-giudiziario. Così. Esattamente come ha appena evidenziato il “severo monito” di Giorgio Napolitano. «Tutti adesso gridano contro l’abuso delle intercettazioni e della pubblicazione. È un’ipocrisia paurosa perché è una questione aperta da anni e anni».

Giusto. Sono poco credibili coloro che gridano alla «minaccia alla democrazia» per la pubblicazione delle telefonate tra Tiziano e Matteo Renzi. Sarebbe come credere, a proposito del «flusso di finanziamenti illegali provenienti al Pci dall’Urss e dai paesi del Comecon – sto citando la deposizione di Craxi del 17 dicembre 1993 davanti ai giudici e pm di Mani pulite – che il presidente della Camera, Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni “ministro degli Esteri” del Partito comunista e aveva rapporti con tutte le nomenklature dell’Est a partire dall’Unione Sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui».

Certo, «l’ipocrisia paurosa», come dice Napolitano, «è una questione aperta da anni e anni». Venticinque, per la precisione. Da che Tangentopoli è stata la madre di tutte le “ipocrisie paurose”. E, forse, anche da che l’ex presidente della Camera Napolitano (subentrato a Oscar Luigi Scalfaro eletto al Quirinale) perfezionò la riforma costituzionale (avviata da Scalfaro, aprile 1992) e la Camera (ottobre 1993) abrogò l’immunità parlamentare per consegnare la sovranità popolare ai metodi spicci delle procure. D’altro canto, nonostante che il mito l’abbiano rimasticato con la penna o l’abbiano risputato con la docufiction, le ricostruzioni dell’anno della “rivoluzione” mancano a tutt’oggi di completezza di informazione (oltre che di visione).

Ma quante coincidenze

Per dirla a grandissime linee. Il 1992 è l’anno del “mariuolo” Chiesa (17 febbraio) da cui verrà giù la valanga che seppellirà i partiti, Pci-Pds escluso, per mano del pool diretto dai procuratori di area Pci-Pds Borrelli e D’Ambrosio. L’anno della strage di Capaci che uccide Giovanni Falcone (23 maggio). L’anno in cui, a cadavere di Falcone ancora caldo, Scalfaro che il 5 aprile aveva avviato il processo di abrogazione dell’immunità parlamentare, viene eletto al Quirinale (25 maggio). L’anno del via libera del governo Amato al prelievo forzoso del 6 per mille dai conti degli italiani (notte tra il 9 e il 10 luglio). L’anno dell’elezione di Bill Clinton alla Casa Bianca e di George Soros, finanziere americano, che speculando contro la lira (16 settembre) costringe la Banca d’Italia a vendere 48 miliardi di dollari di riserve per sostenere il cambio, provocando una svalutazione del 30 per cento, l’uscita dell’Italia dal sistema monetario europeo e il rientro al prezzo della più pesante finanziaria della storia della Repubblica. L’anno dell’inizio della morte politica di Giulio Andreotti. Al quale i sanguinosi fatti di Lima e Capaci tagliano la strada per il Quirinale e aprono la porta (notizia che arriverà solo nel marzo 1993, ma anticipata dal New York Times nel dicembre 1992) a un decennio da imputato per mafia (Caselli, altro procuratore Pci). Perciò. Anche a dirla a grandissime linee sembra che nell’anno mirabilis di Mani pulite le “coincidenze” siano state proprio come le “ipocrisie”. Paurose.

Foto Ansa

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