Quel ballo di Amicone con gli haredim nella notte di Sukkot

Di Giancarlo Giojelli
24 Ottobre 2021
E quando io, ridendo, gli chiedevo se fosse matto ad avventurarsi in quel posto, in quel quartiere dove gli stessi ebrei non ortodossi non entrano volentieri, lui rideva

Molti amici stanno ricordando con affetto in queste ore e in questi giorni Luigi Amicone. Ci sono vescovi e giornalisti, sindaci, parlamentari, compagni di strada e di avventura, cristiani, ebrei, atei, anche avversari politici e ciellini in passato scettici nei confronti della sua “baldanza” giovanile nell’animo e magari meno nell’anagrafe: in tutti Luigi sembra aver lasciato un segno e certo è una cosa grande che sia stato capace di tanta, e libera, amicizia.

Non vorrei aggiungere nulla, ma solo un piccolo aspetto, perché tutti, e giustamente, sottolineano la sua passione per la verità e la vis polemica, in senso buono, combattiva, che di solito si fermava e si concludeva con il suo sorriso francamente disarmante. Io non ho mai avuto motivo di litigare con lui, e neppure di discutere, sebbene ci fossimo frequentati da e per tantissimi anni, direi mezzo secolo.

La telefonata a Giussani

Forse il momento più intenso della nostra amicizia è stato un viaggio insieme in Terra Santa, un viaggio di lavoro e di amicizia con tanti qui, arabi ed ebrei, e una notte passata con un rabbino ultraortodosso, di quelli proprio estremisti, la notte di Sukkot, una delle più importanti feste ebraiche, dalle quali i gentili, i goym, insomma i non ebrei dovrebbero essere proprio esclusi.

Ma Luigi si era portato dei libri di don Giussani e grazie ad Angelica iniziò quella lunga conversazione e alle sei andammo insieme a messa al Sepolcro. Poi chiamammo don Giussani, che ricordo bene, sobbalzò proprio e mi chiese di scrivere tutto per Tracce. Ma l’intuizione era stata di Luigi e quando io, ridendo, gli chiedevo se fosse matto ad avventurarsi in quel posto, in quel quartiere dove gli stessi ebrei non ortodossi non entrano volentieri, lui rideva e si era impegnato serio a ballare (lui che era un fanatico di John Travolta, quello di Grease) danzando con gli haredim nella notte di Sukkot.

Chiarezza e semplicità

Di intuizioni fondamentali Luigi ne aveva tante, a cominciare da quando definì il cristianesimo “un fatto” in un incontro in Università Cattolica, scatenando l’entusiasmo di don Giussani, che anni dopo raccontò in una intervista a Renato Farina (che gli chiedeva quando aveva avuto l’intuizione che il Clu stesse rifiorendo): «C’è stato un fatto particolarissimo: il ballo di fine anno con il gruppetto della Cattolica (Intiglietta, Fontolan, Giojelli, Amicone, la Cioni…)». Mi ero stupito che il Giuss mi ricordasse in quel gruppo così diverso ma, sì, eravamo amici.

E mi piace ricordare il ballo, perché nella teologica bizantina la definizione della Trinità e dell’amore trinitario, origine di ogni amore, si chiama Pericoresi, danza circolare dell’Amore da cui si origina tutta la creazione.

Certo, al nostro ballo mancava qualcosa, disse il Giuss, quella mancanza che originava una nostalgia buona. Che ci avrebbe condotto verso il compimento. O almeno avrebbe tenuto vivo il desiderio. Quella cosa che Luigi ha sempre visto con chiarezza e semplicità. La stessa semplicità con cui parlavamo delle cose di cui si parla da ragazzi e poi da adulti.

Tanta amicizia

Qualche volta mi domandavo se la semplicità era superficialità ma allora il Giuss mi rimproverava: la semplicità non è di per sé una cosa facile. Il cristianesimo è semplice, perché è riconoscere una evidenza. Non è facile perché il nostro cuore è ambiguo, è complicato.

Luigi era semplice nella sua intuizione profonda. Per lui Cristo non era un pensiero, ma una presenza concretissima. Semplice da riconoscere, come lo era stato per i primi amici di Gesù, come lo era stato per i primi amici della sua gioventù. Per questo era capace di tanta amicizia. Nulla poteva essere di ostacolo a quella evidenza. Men che mai le opinioni contorte di chi invecchia e invecchia male. Ma lui abbracciava anche quello. Con quel sorriso che gli era rimasto da ragazzino. Chi è caro a Dio non invecchia.

Foto Ansa

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