
Lo studio di Quattroruote non è scientifico ma la cannabis “light” fa male davvero

Quattroruote si è fatto venire un’idea davvero interessante. In Italia impazzano dappertutto i Cannabis Store, aperti a centinaia dopo l’approvazione della legge 242 del 2016. Questi negozi pretendono di vendere prodotti, agroalimentari e non, a base di canapa “light”, leggera, cioè a basso contenuto di Thc (0,2-0,6%). Repubblica l’ha definita la «cannabis che non sballa», la marijuana buona, insomma. Una droga non droga. Il Consiglio superiore di sanità ha già decretato che è «potenzialmente pericolosa» e che dunque dovrebbe esserne vietata la vendita, anche se il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha fatto orecchie da mercante. Chissà perché. E che cosa ha pensato la nota rivista automobilistica? Di valutare gli effetti della marijuana “light” sui guidatori, conducendo un test sulla propria pista di Vairano.
IL TEST
I risultati dello studio, che contrariamente a quanto scrive Libero non è stato condotto in collaborazione con l’Istituto farmacologico Mario Negri di Milano, vengono dettagliati nel numero di novembre di Quattroruote. Riassumendo, nei tre automobilisti che si sono prestati all’esperimento, dopo un pranzetto a base di prodotti contenenti cannabis “light”, sono stati riscontrati «un peggioramento dei tempi di reazione, la distorsione nella percezione della velocità, degli stimoli luminosi, errori in frenata e in accelerazione».
NON È UNO STUDIO SCIENTIFICO
Il test è molto interessante, anche se bisogna chiarire che non si tratta in alcun modo di uno studio scientifico. I soggetti che si sono prestati all’esperimento, infatti, sapevano che avrebbero mangiato dolcetti e altri cibi a base di marijuana ed erano dunque influenzati e predisposti da questa consapevolezza. Il loro comportamento non poteva che risultare alterato, nel bene e nel male. Inoltre, il gruppo dei tester non era stato selezionato con criteri precisi.
IL DOPPIO CIECO
Sarebbe servito invece, per avere un risultato rigoroso, un esperimento in doppio cieco. Era cioè necessario scegliere almeno due gruppi di soggetti simili per età, istruzione e costumi di vita. I due gruppi avrebbero dovuto prendere da una tavola, in modo del tutto casuale, dei prodotti alimentari identici: un gruppo quelli contenenti marijuana, un gruppo quelli normali, il cosiddetto placebo. Né loro, né chi conduce lo studio, avrebbero dovuto sapere quali contenevano la sostanza psicotropa e quali no. Solo dopo aver effettuato i test e solo dopo la valutazione dei risultati, gli sperimentatori sarebbero dovuti andare a scoprire chi aveva assunto la marijuana e chi no.

«CHE CAOS IN ITALIA»
Quattroruote non ha agito in questo modo e il suo studio, dunque, non ha alcun rigore scientifico. Resta il fatto, però, che la cannabis “light” è davvero pericolosa, come già affermato appunto dal Css. «Solo in Italia poteva essere approvata una legge che crea un simile caos», dichiara a tempi.it il dottor Luigi Cervo, responsabile del Laboratorio di psicofarmacologia sperimentale dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. «La nostra legislazione vieta la vendita di canapa per uso personale. È qualcosa di inaudito, che succede solo da noi e forse in Svizzera».
«CANNABIS “LIGHT”? UNA PRESA IN GIRO»
Secondo Cervo, «le infiorescenze essiccate di cannabis fanno male perché alterano la percezione con i principi attivi». Il più famoso è il Thc, ma ce ne sono anche altri. La “sfida” della cannabis light è di avere una concentrazione così bassa di Thc da non poter essere ritenuta una droga. Ma per il ricercatore è una «presa in giro»: «Se c’è una concentrazione di Thc dello 0,2% o 0,6%, basta farsi due o tre canne, o prendere due o tre dolcetti, e si ottiene lo stesso effetto» della marijuana classica. «Se uno poi è giovane e fuma magari per tre giorni di fila e ci aggiunge pure un bicchiere di birra, è chiaro che può essere alterato e quindi che non può guidare, ad esempio. Se vogliamo prenderci in giro, va bene, ma anche se il principio attivo è basso, con l’accumulo di dolcetti, tisane, birra, canne, si ottengono gli stessi effetti».
IL BUSINESS
Ecco perché l’Istituto Mario Negri continua a lanciare l’allarme: «Attenzione, attenzione alla salute. Questo noi continuiamo a dire». Alla fine, per il dottor Cervo, è tutto un problema di soldi: «Se l’Italia ha approvato una legge assurda come questa e permette la vendita di questi prodotti, che non devono essere venduti, è solo perché lo Stato vuole a tutti i costi offrire posti di lavoro. Ora si sono inventati i Cannabis Store, ma tanto lo sappiamo tutti come finirà: li strangoleranno con l’aumento delle tasse. Alla fine, è solo business». Sulla pelle degli italiani.
Foto Ansa
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