Via Quaranta bis. I ragazzi? Non sanno fare due più due

Di Emanuele Boffi
14 Settembre 2006
Anno nuovo, vecchia scuola. Tramite l'associazione Insieme, le famiglie della ex madrassa milanese (chiusa un anno fa) cercano di aprire un altro centro. Senza avere le carte in regola

Milano
«Via Ventura è una buonissima soluzione. Noi del centro Fajr non abbiamo più alcuna collaborazione con l’associazione Insieme, ma siamo molto contenti perché la scuola che sorgerà in via Ventura proseguirà sulla stessa strada di via Quaranta». La soddisfazione che l’ex preside Aly Sharif della ex “scuola” di via Quaranta rivela a Tempi è molto significativa: è la più chiara testimonianza che se via Ventura non è via Quaranta dal punto di vista formale, lo è però dal punto di vista sostanziale. Tanto che lo stesso Sharif, a capo di quella struttura che nel settembre 2005 fu chiusa dalle autorità per motivi igienico sanitari e che per quindici anni aveva sottratto all’obbligo scolastico circa cinquecento ragazzi, può ritenersi “soddisfatto” della nuova soluzione prospettata in questi giorni.
Di mezzo, tra i due episodi, c’è stato il lavoro di Insieme, associazione nata con lo scopo di soddifare le esigenze di “non integrazione” di quelle famiglie che, dopo la chiusura di via Quaranta, avevano rifiutato di iscrivere i propri figli alle scuole pubbliche italiane. Dopo interminabili trattative Insieme aveva preso in affitto uno stabile di proprietà dell’Enaip in via Ventura (zona Lambrate), organizzando una sorta di doposcuola per i figli di queste famiglie di irriducibili. Sebbene l’iniziativa si configurasse come una specie di “istruzione paterna di massa”, la vicenda fu tollerata dalle autorità scolastiche, già relativamente soddisfatte di essere riuscite a regolarizzare molti degli studenti di via Quaranta. Oggi, torna a ripresentarsi il problema dopo che Insieme ha annunciato l’apertura di un istituto proprio nello stabile di Lambrate. Che via Ventura non sia una via Quaranta bis i promotori hanno voluto ribadirlo più volte, illustrando ai giornali che la nuova scuola straniera avrà nove classi tra elementari e medie, seguirà un doppio programma, egiziano e italiano, sarà una scuola bilingue, gli insegnanti saranno tutti abilitati. è stato detto che «sarà una scuola laica» in cui le ore di religione saranno dedicate alla spiegazione del Corano a meno di esplicite richieste per insegnamenti d’altra confessione. Il nome sarà o “scuola della pace” oppure sarà intitolata a Nagib Mahfuz, il romanziere egiziano recentemente scomparso. Insieme ha annunciato di avere già circa centocinquanta iscrizioni da parte di figli di egiziani, tunisini, marocchini, algerini e di aver fissato il trillo della prima campanella per il 15 settembre.

«Non potranno dirci di no»
Ma se i riflettori si sono scostati da personaggi come Sharif, altri protagonisti della precedente esperienza sono rimasti. Come Lidia Acerboni, insegnante in pensione che molto collaborò e molto si diede da fare per il mantenimento di via Quaranta, che oggi si presenta come direttrice della nuova struttura. La stessa ha dichiarato ai giornali che «questa esperienza non ha niente a che fare con quella di via Quaranta», il nuovo istituto «sarà la scuola dell’integrazione», «a controllare la programmazione ci penserà un comitato scientifico che farà capo alla facoltà di Scienze della Formazione della Bicocca».
Fin qui gli annunci a mezzo stampa. Ma essendo ormai da parte dei promotori collaudata la pratica di dichiarare ai giornali di avere le carte in regola prima di avere però le carte stesse, le autorità scolastiche milanesi si mostrano molte scettiche verso le iniziative di Insieme. Non si tratta di pregiudizi immotivati: tutta la vicenda di via Quaranta è stata costellata da proclami e smentite, proprio per questa prassi da parte dei quarantini di voler forzare la mano mediaticamente al fine di ottenere permessi altrimenti irricevibili. E anche questa volta le autorità scolastiche sono state costrette a smentire che alcun nullaosta fosse stato concesso a Acerboni e soci. Da parte loro, si è controribattuto di «essere in regola. Ci sono stati contestati solo alcuni particolari che riguardano la sede. Ma entro pochi giorni i lavori saranno ultimati e non potranno dirci di no».

«Non conoscono nemmeno il Corano»
Al Comune di Milano la pensano diversamente. All’assessorato Famiglia, scuole e politiche sociali, preposto a dare l’ok per l’agibilità della struttura, spiegano a Tempi di essere «ancora in attesa della documentazione adeguata. In maggio abbiamo fatto un sopralluogo nell’edifico di via Ventura e il 24 dello stesso mese abbiamo comunicato sia all’ufficio regionale scolastico sia all’associazione Insieme che dalle nostre verifiche la struttura risulta non agibile. L’edificio ha i requisiti per essere considerato un centro di formazione, non una scuola». Agli annunci di Insieme i dirigenti del Comune allargano le braccia: «Uno può anche andare in piazza a urlare che domani aprirà un ristorante messicano. Ma finché non presenta domanda adeguata, l’autorizzazione non gli sarà concessa».
Da par suo, il direttore scolastico regionale Mario Dutto, cui spetta l’ultima parola, si dice in attesa di documentazione, anche se precisa di «non poter entrare nel merito dei programmi». Cauta anche Susanna Mantovani, preside di Scienze della Formazione all’università Bicocca di Milano, che nelle intenzioni della Acerboni dovrebbe guidare il comitato scientifico di garanzia di via Ventura: «Per ora non esiste alcun comitato scientifico che controlli la scuola araba. A Insieme, che mi aveva chiesto la disponibilità, ho risposto che prima dovevano ottenere tutte le autorizzazioni».
Naturalmente il problema non è solo di carte bollate. La forma giuridica scelta per regolarizzare l’istituto, la scuola straniera, è prevista sì dalla nostra Costituzione, ma l’interpretazione data dai quarantini gioca su un’ambiguità. Scuole straniere esistono in Italia (nel Milanese è presente una scuola libica finanziata dalla Tamoil e frequentata da figli di funzionari del governo di Gheddafi), e sorgono grazie a rapporti bilaterali fra Stati. Chi le frequenta vuole rimanere al passo con i tempi dell’istruzione del proprio paese d’origine. Qui, invece, spiegano al provveditorato degli studi, «a fronte di un generico beneplacito del consolato egiziano, siamo alla presenza di una scuola straniera frequentata da cittadini italiani». Tant’è vero che, a fine anno, i ragazzi svolgono un esame nelle nostre scuole pubbliche affinché gli sia riconosciuto il titolo di studio, «cosa che normalmente – si fa notare – non avviene per gli studenti delle straniere “normali” i quali non hanno alcun interesse a “rimanere al passo” con la nostra giurisdizione scolastica». Di sottofondo rimane poi il problema dell’integrazione. Tale preoccupazione è stata espressa a più riprese dal vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam, il giornalista che sollevò il caso. Ma non solo: si sono mostrati molto scettici anche altri esponenti della comunità islamica italiana, come Mario Scialoja, rappresentante della Lega musulmana in Italia, Younis Tawfik, membro della consulta islamica («esperienze di questo tipo non aiutano l’integrazione»), Yahya Pallavicini del Coreis («c’è il rischio di una degenerazione degli istituti stranieri in tanti piccoli ghetti»).
Secondo Mahmoud Othman, presidente di Insieme, non c’è più alcun problema: «Noi vogliamo insegnare i princìpi della convivenza, dell’integrazione, della pace»; un altro esponente dell’associazione ha ribadito ai quotidiani che la nuova scuola «non sarà una fucina di terroristi: via Ventura è lontana anni luce da via Quaranta». Fatte salve tutte queste buone intenzioni rimane l’amaro auspicio di un insegnante che durante l’estate ha dato ripetizioni ad un ex studente del doposcuola di via Ventura: «Riaprono? Mah, speriamo che gli insegnino qualcosa. Il ragazzo che io ho seguito non solo non sapeva fare due più due, ma non conosceva nemmeno il Corano».

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