Quant’è moderno l’islamista

Di Rodolfo Casadei
05 Agosto 2004
Cosa c'è nella testa del terrorista islamico? Più che leggere il Corano, per saperlo si devono analizzare i totalitarismi europei e la modernità sia illuminista che romantica. Lo spiegano tre recenti libri

Se ancora non siete partiti per le vacanze e la vostra libreria prediletta non ha ancora chiuso i battenti, se la questione islamista vi appassiona o semplicemente volete capire qualcosa di più circa quei pazzi con barba e turbante che continuano a minacciare attentati apocalittici dopo averne messi a segno più di un paio, vi consigliamo di concentrare le vostre letture estive su tre titoli: Al Qaeda e il significato della modernità di John Gray (Fazi Editore), Occidentalism. The West in the Eyes of its Enemies di Ian Buruma e Avishai Margalit (Penguin Books, purtroppo per voi a cinque mesi dalla sua apparizione il libro non è ancora tradotto in italiano) e Terrore e liberalismo. Perché la guerra al fondamentalismo è una guerra antifascista di Paul Berman (Einaudi). Si tratta di libri molto diversi fra loro, da passare al vaglio attentamente, per trattenerne il valore senza assorbire acriticamente tesi discutibili che pure essi contengono. Non sono le classiche “buone letture” per l’estate, in cui si fa proprio il 100 per cento di quel che si legge. E tuttavia questi tre titoli sono estremamente istruttivi perché mostrano che per strade diverse si giunge alla stessa conclusione: l’islamismo politico e l’ideologia jihadista non sono l’espressione di un conflitto fra civiltà troppo diverse e competitive per convivere, non sono una ribellione di spiriti religiosi contro lo spirito irreligioso e secolarista della modernità. Al contrario: il fondamentalismo islamico ed il terrorismo di Al Qaeda sono intrisi di modernità, attingono alla stessa sorgente millenarista da cui sono zampillati i totalitarismi del Novecento, lanciano l’anatema contro l’Occidente sulla base di premesse culturali già espresse da critici radicali dell’Occidente di sinistra e di destra come Marx e Nietzsche, Lenin e Fichte, gli anarchici, i giacobini, i nichilisti, ecc. Insomma, Al Qaeda è figlia della modernità, e l’islamismo non è il risultato di un revival religioso, ma di una crisi del sacro, perché in esso la religione è ridotta ad ideologia politica.

Le comuni radici millenaristiche
«Come il comunismo e il nazismo – scrive John Gray, eccentrica figura di conservatore britannico no global – l’islam radicale è moderno. Sebbene pretenda di essere antioccidentale, è formato tanto dall’ideologia occidentale quanto dalle tradizioni islamiche. Allo stesso modo dei marxisti e dei neoliberisti, anche gli islamici radicali concepiscono la storia come il preludio a un mondo nuovo. Tutti sono convinti di poter riformare la condizione umana. Se esiste un solo mito moderno, è questo. Nel mondo nuovo come se lo figura Al Qaeda il potere e il conflitto scompariranno… ma in questo il mondo nuovo immaginato da Al Qaeda non è diverso dalle fantasie elaborate da Marx e Bakunin, da Lenin e Mao, e dagli evangelizzatori neoliberisti che di recente hanno annunciato la fine della storia». A chi obietta che Al Qaeda ed il fondamentalismo islamico non possono essere moderni perché affidano il governo della società umana al Corano (cioè alla norma divina) e non alla razionalità, Gray risponde che «pensatori come Fichte e Nietzsche glorificarono la volontà a scapito della ragione. Il rifiuto della ragione da parte dell’islam radicale dimostra quanto esso sia un movimento moderno… La credenza romantica che il mondo possa essere riformato da un atto di volontà è parte del mondo moderno, allo stesso modo dell’ideale illuminista di una civiltà universale basata sulla ragione. L’una sorse come reazione all’altro. Ambedue sono miti». Gli fanno eco Buruma e Margalit: «Nessun “occidentalista” (nel senso di “detrattore della civiltà occidentale”, ndt), nemmeno il più fervente combattente della guerra santa, può mai dirsi completamente libero dall’influsso occidentale… Ciò che rende il terrore dei rivoluzionari islamici così letale non è tanto l’odio religioso tratto da antichi testi, spesso basato su distorsioni degli stessi, ma la sintesi di zelo religioso ed ideologia moderna».
Paul Berman evidenzia l’affinità fra le ideologie totalitarie del Novecento di origine europea (fascismo, nazismo e comunismo) e quelle di origine araba (baathismo e fondamentalismo islamico) individuando la loro comune origine millenarista. Il millenarismo è il frutto della lettura politicizzata di Apocalisse 17-20: la caduta di Babilonia ed il regno terreno di Cristo per mille anni prima del combattimento e del giudizio finali, con cui si esaurisce la storia, passano dallo statuto di rivelazione escatologica a quello di progetto politico e prognosi storica all’indomani della Prima Guerra mondiale. «C’è sempre stato un popolo di Dio, la cui vita pacifica era stata minacciata. Si trattava del proletariato o delle masse russe (per i bolscevichi e gli stalinisti), o dei figli della lupa romana (per i fascisti di Mussolini)… o della razza ariana (per i nazisti). C’erano sempre gli abitanti sovversivi di Babilonia, che commerciavano beni di tutto il mondo e corrompevano la società con i loro abomini. Erano la borghesia e i kulaki (per bolscevichi e stalinisti), o i massoni e i cosmopoliti (per fascisti e falangisti), e sempre, prima o poi, anche gli ebrei (per i nazisti, e in misura minore per gli altri fascisti, e infine anche per Stalin). (…) In ogni versione del mito, prima che arrivi il regno di Dio avviene sempre la guerra dell’Armageddon: il bagno di sangue dello sterminio totale… Sarebbe stata la Guerra di classe (per bolscevichi e stalinisti), o la Crociata (per i fascisti), o la Guerra razziale (per i nazisti)». In Sayyid Qutb, l’islamista egiziano che porta alle estreme conclusioni l’integralismo dei Fratelli Musulmani ed è considerato il capostipite di tutti gli estremisti islamici odierni (che di fatti lo venerano), Berman ritrova lo stesso impianto mitico-ideologico: «Qutb descrisse la sua grandiosa visione dell’islam e la sua situazione disperata, e il suo destino utopico, ma nell’Europa del Novecento tutti i movimenti totalitari descrivevano una grandiosa visione della civiltà moderna, situazioni disperate e destini utopici… E così fece anche Qutb. Pure nel suo caso c’era un popolo di Dio. Erano i musulmani. Il popolo di Dio era stato attaccato insidiosamente dall’interno della sua stessa società, da forze corrotte e inquinate. I nemici interni erano sostenuti da nemici sinistri, provenienti dall’estero. Erano i crociati e gli ebrei. Contro di loro si sarebbe scatenata una guerra terribile, condotta dall’avanguardia musulmana. Sarebbe stato il jihad. La vittoria, come sempre, era garantita. E il regno di Dio, che era esistito una volta in un passato lontano, sarebbe tornato. Sarebbe stato il regno della sharia. E il regno avrebbe creato una società perfetta, pulita da qualsiasi impurità e corruzione, come sempre nelle mitologie totalitarie. La dottrina di Qutb… era solo una nuova versione dell’idea totalitaria europea».

Attentatori suicidi, logica totalitaria
Anche per quanto riguarda lo speciale rapporto con la morte dei combattenti islamici Berman non fa sconti: per lui non ci sono dubbi che un perverso connubio congiunge libertà e morte, progresso e omicidio-suicidio in tutte le ideologie totalitarie, non solo presso i seguaci di Osama Bin Laden o di Khomeini. Cita brani di Abdullah Azzam, maestro di Bin Laden («La Storia non si scrive se non col sangue. La gloria non costruisce il suo palazzo nobile se non con i teschi. Onore e rispetto non possono esistere se non fondandosi su feriti e morti»), e conclude: «Penserete che sicuramente questo modo di parlare è esotico, non può essere occidentale. Ma è il modo in cui parlavano i leader tedeschi sessant’anni fa. I bolscevichi non avevano paura di parlare così. “Viva la muerte!”, disse un generale di Franco. Non è esotico. È il culto totalitario della morte».
Buruma e Margalit concedono che gli attentatori suicidi di Osama hanno un precedente islamico nella setta degli Assassini dell’XI-XII secolo, ma sottolineano le differenze con l’originale e rinvengono esempi di “culto della morte” di origine occidentale molto simili alle invocazioni talebane e di Al Qaeda nel Romanticismo tedesco. «La felicità sta nella morte sacrificale» di Karl Theodor Körner e «il piacere della morte… che chiama la nostra anima come una regina dalla sua prigione» di Thomas Abbt assomigliano sorprendentemente al «i nostri giovani amano la morte più di quanto i vostri figli amino la vita» del mullah Abu Gaith. A queste e ad altre citazioni ragionate Buruma e Margalit affiancano osservazioni acute su quegli aspetti della psicologia dell’uomo moderno che i movimenti totalitari possono sfruttare per i loro fini: la depressione che sovente accompagna la condizione di mediocrità della massa dei singoli nell’epoca moderna può essere redenta attraverso il sacrificio eroico: «Il fascismo esercitava un’attrazione precisamente sugli uomini mediocri, perché dava loro un barlume di gloria per associazione, facendoli sentire parte di una nazione superiore, e nel nazismo di una razza superiore, dotata di virtù e qualità spirituali superiori. I movimenti religiosi politicizzati spesso attraggono le persone per la stessa ragione. Il sacrificio di sé per una causa più grande, per un mondo ideale, purificato dell’avidità umana e dell’ingiustizia, è l’unica strada a disposizione dell’uomo moderno per sentirsi eroico». Dalla psicologia si passa alla filosofia della storia con Berman, col suo splendido, definitivo giudizio circa l’inevitabile necrofilia delle ideologie totalitarie: «Questi vari movimenti europei annunciarono numerosi programmi molto fantasiosi per il miglioramento umano, e questi programmi erano sempre poco pratici… non poterono mai essere realizzati. La morte invece era pratica. La morte era l’unico risultato rivoluzionario che si potesse davvero raggiungere. L’unità del genere umano, il regno della purezza e l’eternità: questi obiettivi erano fuori portata… Ma l’unità, la purezza e l’eternità erano raggiungibili subito sotto forma di morte in massa». Una verità terribile, vera oggi per il fondamentalismo islamico come lo fu ieri per i totalitarismi europei.

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