Quando calcio italiano e inglese erano vicini di casa: la storia di Peronace

Di Redazione
29 Novembre 2012
Nasceva 82 anni fa in Calabria un grande uomo di sport: Luigi Peronace. Punto di incontro tra le due nazioni calcistiche, fu l'inventore della Coppa Anglo-Italiana. Ecco una breve storia della sua vita, tratta dal libro di Emmanuele Michela.

Pubblichiamo alcune pagine del libro “Lecco 1977. Volti di una storia Anglo-Italiana” (Lecco Sport Web), scritto da Emmanuele Michela, giornalista che si occupa di calcio per Tempi. Il volume raccoglie una storia piccola ma leggendaria nella sua semplicità: quella della vittoria del club lariano nella Coppa Anglo-Italiana del 1977. Il testo, costituito da capitoli “storico-cronachistici” dedicati alle partite e “profili umani-sportivi” su sette giocatori di quella squadra, è uno spaccato perfetto di quello che era il calcio italiano degli anni Settanta, specie quello semi-professionista di Serie C. E offre tanti spunti su questa strana coppa, crocevia tra due nazioni calcistiche vicinissime all’epoca, che rappresentava una possibilità rara ed unica per i club delle serie minori di affrontare una competizione europea, con trasferte in campi periferici inglesi. Si legge così di un mondo sportivo povero di soldi ma ricco di passione e amore per il pallone, impreziosito da attori seri e responsabili nel loro modo di vivere quell’impegno. Come Gigi Peronace, fondatore della Coppa e uomo molto apprezzato Oltremanica, di cui oggi sarebbe ricorso l’82esimo compleanno. Ecco chi era e come si inventò questo trofeo così estemporaneo.

La genesi dell’Anglo-Italiano va ricercata nel sud dell’Italia. Nello specifico in Calabria, e nello specifico negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale: è una storia dai tratti romantici, che ha inizio appena dopo lo sbarco alleato in Sicilia. Americani e inglesi stanno lentamente risalendo la penisola, mettendo fine all’occupazione nazista.

Luigi è un ragazzo di 20 anni, che si diverte ad organizzare incontri calcistici tra militari inglesi e club calabresi. Gioca portiere lui: difende i pali della Reggina, squadra che milita nei campetti dell’arida provincia meridionale, appena uscita dalle disavventure belliche. Con gli amici organizza questi incontri contro i soldati, partite che per tanti calabresi sono la possibilità di ingannare il tempo, divertirsi e mettersi in mostra di fronte ai “Signori del calcio” inglesi. Per i britannici, il modo di allietare la distanza da casa con lo sport più comune e diffuso, il tanto amato football. Due tiri in porta, qualche contrasto e tanta polvere sulle scarpe: l’attesa del ritorno in patria diventa così un po’ più sopportabile. Ma tutt’altro che dolce, se son vere le scarne notizie che abbiamo su quegli incontri: uno di questi, il più importante, è un durissimo 6-0 con cui i calabresi sbeffeggiano gli inglesi. Che partita! Per l’esercito è un oltraggio durissimo, che non sarà mai vendicato: il Sergente di Fanteria Tom Harrison si dà infatti da fare, insieme al Comandante di Marina (non che giocatore del Bolton) Ray Westwood, per organizzare la gara di ritorno il 10 settembre ’44. Ma la corazzata inglese non riesce ad andare oltre lo 0-0, risultato congelato dalle grandi parate di Luigi, che appunto gioca in porta. A essere un po’ romantici, ma neanche troppo, qui sta l’embrione della Coppa Anglo-Italiana.

Sì perché il Luigi in questione era Luigi Peronace, un dirigente sportivo che sul finire degli anni Sessanta si darà da fare per la nascita del trofeo italo-inglese. Ma andiamo con ordine. Peronace fu un vero ambasciatore del calcio: prima, durante gli anni Cinquanta, di quello inglese in Italia. Poi, una volta trasferitosi Oltremanica, divenne un punto di riferimento per tanti club italiani, che mandavano i loro uomini fidati a Londra e dintorni per trovare qualche nuovo colpo di mercato o per organizzare qualche match amichevole. E dire che lui c’aveva provato a stare lontano dal mondo del pallone: era salito a Torino, al termine della Seconda Guerra Mondiale, per studiare ingegneria, salvo poi trovarsi in breve tempo a lavorare per la Juventus, facendo il secondo portiere dei bianconeri e divenendo collaboratore prima del manager scozzese William Chalmers, poi del gallese Jesse Calver. Con quest’ultimo legò molto, tanto da accompagnarlo anche nell’avventura da tecnico del Torino nel ’53.

Sono questi gli inizi di una lunga carriera professionale, totalmente dedicata al calcio: Peronace diviene un vero e proprio talent scout, capace di svolgere un ruolo, quello del procuratore, che a quei tempi non esiste ancora. A lui si deve l’arrivo in Italia di Denis Law e Joe Baker: ha appena iniziato a lavorare per il Torino, e nel ’61 promuove l’arrivo in granata di questi due fuoriclasse britannici, prelevati dal Manchester City e dall’Hibernians. A lui si deve anche l’approdo al Milan del grande Jimmy Greaves (sempre nel ’61), di John Charles alla Juventus (5 stagioni in bianconero, con tre scudetti e due Coppe Italia), e ancora, più avanti, di Liam Brady sempre alla Vecchia Signora (anche lui protagonista di due scudetti a Torino, negli anni Ottanta). Insomma, Peronace ha l’occhio per il campione, soprattutto per gli affari made in UK, e le sue ottime doti relazionali favoriscono l’arrivo di tanti di questi campioni in club italiani.

Gentilezza e sensibilità, ma anche una grande facilità nel fare battute. Il tutto tenuto insieme da un enorme amore per il lavoro: sono questi i pregi che gli vengono apprezzati più o meno ovunque Oltremanica. E lo sono ancor di più quando, nei primi anni Settanta, Peronace si trasferisce a vivere appunto in Inghilterra: dal Middlesex collabora con l’Italia, tenendo stretti i suoi rapporti con vari club e collaborando anche con la Figc, di cui è stato scelto come segretario sotto la presidenza Agnelli. Per gli inglesi è il miglior interlocutore del calcio italiano: diviene grande amico di un certo Matt Busby, per intenderci quel Sir inglese che allenava lo United di Bobby Charlton e George Best, e stringe rapporti molto prolifici anche con Dennis Follows, capo della Federazione Inglese.

L’idea della Coppa Anglo-Italiana viene a Peronace sul finire degli anni Sessanta, precisamente nel ’69. In quell’anno lo Swindon Town, piccolo club del Wiltshire, è riuscito nell’impresa di vincere la Coppa di Lega Inglese: 3-1 in finale contro l’Arsenal. Un vero miracolo, se si pensa che i Railwaymen (i “ferrovieri”, nickname ereditato dalla grande fabbrica di treni presente in città) giocano addirittura nella terza divisione inglese. Avrebbero dovuto essere ammessi così alla Coppa delle Fiere (l’antenata della Coppa Uefa), ma gli accordi presi dalla FA con il comitato organizzatore parlano chiaro: al trofeo continentale possono partecipare solo squadre delle massime serie europee. Lo Swindon sarebbe rimasto così escluso, senza alcuna possibilità di rappresentare la sua nazione in Europa e di far vedere a tutto il Continente il valore della sua vittoria. È qui che a Peronace viene l’idea: il club avrebbe potuto giocare in una competizione di valore europeo, creata per l’occasione. Il trofeo avrebbe messo contro squadre italiane a squadre inglesi, e avrebbe poi ricevuto un’investitura ufficiale dai sacri crismi di Figc, FA e Uefa.

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