
Quagliariello: «Perché ho lasciato Ncd»

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Dalle convergenze parallele di Aldo Moro alle divergenze parallele di Angelino Alfano. L’espressione è di Carlo Giovanardi, che nel numero scorso di Tempi ha spiegato le ragioni del suo abbandono al Nuovo centrodestra. Gaetano Quagliariello, ex coordinatore Ncd, è anche lui in uscita, perché «l’ambiguità non è sempre un fatto negativo in politica. Ma oggi la linea del partito rappresenta una infelice ambiguità. C’è un limite a tutto, soprattutto al trasformismo», dice a Tempi. Il segnale che era giunta l’ora di tagliare i ponti col partito che lo stesso Quagliariello ha contribuito a fondare è arrivato quando gli otto emendamenti presentati per modificare la legge di stabilità «non sono stati nemmeno presi in considerazione». E così è arrivato il momento, insieme ad Andrea Augello, Luigi Compagna, Eugenia Roccella e Vincenzo Piso, dei saluti. Ma senza baci, anzi. Perché i quattro senatori si sono astenuti dal votare la legge di stabilità. E a Palazzo Madama l’astensione equivale a un voto contrario.
Senatore, il suo è un segnale politico o è la legge che non la convince?
Entrambe le cose. La legge, secondo me ha un problema chiaro e semplice: manca di logicità economica, è irrazionale, fondata sull’ipotesi che la crescita si possa perseguire facendo nuovo debito, una scelta in controtendenza rispetto alle linee seguite in Europa. E che mette in dubbio quel poco di risanamento dei conti che è stato fatto.
Ci spieghi meglio.
Il governo sta alleggerendo le tasse oggi, ponendo le premesse per aumentarle, non dopodomani ma domani. Ci sono clausole per 35 miliardi di euro che dovremo coprire tra il 2017 e 2018: è come avere firmato una cambiale. Insieme ad altri componenti di Ncd abbiamo presentato otto emendamenti che riguardano il taglio della spesa. Si basano su ipotesi di Carlo Cottarelli e seguono la filosofia di Raffaele Cantone: per combattere la corruzione non servono leggi liberticide, ma occorre prosciugare il mare di coltura in cui essa prospera. L’occasione fa l’uomo ladro? Allora tagliamo le occasioni, come ad esempio le migliaia di società partecipate. Così si diminuiscono le possibilità di corruzione. Avremmo prodotto un risparmio di quasi due miliardi di euro che avrebbero reso questa manovra più solida.
E il segnale politico quale sarebbe?
Questi emendamenti hanno inaugurato un metodo nuovo di rapporto con il governo: basta con le cambiali in bianco, la fase in cui bisognava salvare il paese dal possibile fallimento è passata, le regole, buone o cattive, sono state scritte. Ora c’è bisogno di andare avanti. Il problema non è che questa legge è di destra o di sinistra, il problema è che non risponde a logiche liberali. E l’atteggiamento del governo lo ha confermato. Stiamo dicendo alla gente che lo Stato può tornare a spendere senza dire che domani, con ogni probabilità, le tasse saranno aumentate. Il viceministro Morando, in aula, ha confermato che le clausole sono lì da onorare, e che tra il 2017 e 2018 potrebbero scattare aumenti che riguardano accise e Iva.
Ma cos’è cambiato dal rapporto col governa Letta a quello con Renzi?
È cambiato il mondo. Prima di tutto il contesto: Enrico Letta aveva il sostegno del Pdl, era un governo di emergenza nato per superare una crisi, bisognava unirsi per scrivere regole che servissero a superare quel momento storico. La logica di coalizione era chiarissima: affrontare la crisi e superarla insieme. Con il governo Renzi questa logica non esiste più. Né in termini istituzionali, perché con il premio di lista non c’è la possibilità di avere una coalizione. Né in termini politici, perché Renzi è convinto di rappresentare i moderati. E nemmeno in termini psicologici, perché Renzi detesta qualsiasi alleanza. Ripeto, le regole sono state scritte, possono essere migliorate ma ci sono. La crisi è stata superata. Quindi rimanere in questo governo significa rinunciare o venire meno ai nostri princìpi.
Quando ha iniziato a pensare che era meglio abbandonare la coalizione?
C’è stato un fatto che rimarrà scolpito nella storia parlamentare: quando, un minuto dopo aver approvato una riforma costituzionale con i nostri voti decisivi, il governo Renzi ci ha scaricato e ha calendarizzato le unioni civili utilizzando i voti dei grillini. In quel momento dovevamo avere il coraggio di dire basta, o perlomeno passare a un sostegno esterno. Non averlo fatto ha, secondo me, voluto dire annullare ogni nostra funzione.
Cosa deve fare, secondo lei, Ncd?
Decidere. Decidere da che parte stare. Alle ultime elezioni regionali abbiamo stretto alleanze di diverso tipo ma tutte alternative alla sinistra, ottenendo dei risultati non banali. A quel punto avremmo dovuto fare una scelta: o rinnegare quel percorso o approfondirlo. Però, l’approfondimento rende impossibile la permanenza nel governo. Stare con Renzi a Roma e contro Renzi sui territori è impossibile. Lo stesso discorso vale per le prossime amministrative: saranno decisive per trovare una vera alternativa al Partito democratico. Bisogna dare questo segnale, c’è troppa ambiguità, troppa confusione. C’è nei nostri militanti, in noi stessi politici. Figuriamoci tra gli elettori. Speravo che le mie dimissioni potessero portare a una linea di chiarezza. Purtroppo non è stato così.
E ora cosa serve?
Un rinnovamento della classe dirigente, innanzitutto. Che stiamo cercando e possiamo trovare ripartendo da consiglieri regionali, sindaci, persone che fanno politica a contatto con la gente. Non serve un altro partitino, non serve fare un passo indietro e tornare in Forza Italia, serve un movimento che abbia lo scopo di aggregare, perché oggi il centrodestra è distrutto. Non possiamo tornare al passato ma nemmeno fermarci alla piazza di Bologna. Serve qualcosa di più. Serve il prototipo di una nuova classe dirigente. Un movimento che sostenga quei candidati sindaci che si stanno spontaneamente mettendo in gioco. Penso a Roberto Dipiazza a Trieste, Corrado Passera a Milano, Alfio Marchini a Roma. Oggi è il momento di seminare idee, è l’ora della chiarezza. Per farla occorre distaccarci da questo Ncd e da ciò che rappresenta. Ci rimettiamo in gioco, se riusciremo a costruire un’alternativa, bene. Altrimenti la smetteremo con la politica, nessuno ci ha prescritto questo lavoro fino alla pensione.
A Milano si è parlato di una candidatura di Alessandro Sallusti per Forza Italia e Lega. Cosa ne pensa?
Ho rispetto per chi decide di mettersi in gioco, ma temo che le sue caratteristiche faciliterebbero la vittoria di Sala. Sarebbe meglio un candidato che riesca a contrastare Sala sul suo terreno e abbia l’appoggio di quelle forze che parlano anche a settori più estremi. In questo modo si ha una dinamica che dal centro va all’esterno. Se parti da una candidatura radicale c’è il rischio che tutto si fermi lì. In questo senso credo che Passera sia più adatto come sfidante di Sala. È stato nell’esecutivo Monti e su quel governo si può dire di tutto, ma è anche stato più coerente di me nei confronti del governo Renzi. Io ho provato a portare avanti con lui la logica con la quale era nato il governo Letta. Ma non ce l’ho fatta.
Le posizioni del leader della Lega sono troppo lontane per trovare un accordo con Ncd su Milano?
Tantissime cose mi differenziano da Salvini, ma non credo che abbia torto nel ritenere incomprensibile la posizione di chi, in un momento decisivo per l’Italia, a Roma ha una posizione e a Milano un’altra. Per il bene di Ncd, spero che il rapporto col governo Renzi termini. Credo di avere assunto l’atteggiamento più corretto, sicuramente non privo di rischi, ma è più proficuo se si vuole trovare una vera alternativa a questo Pd. Ncd doveva essere l’alternativa al vecchio centrodestra, ma restare alternativa al Pd. Credo se lo sia dimenticato.
Foto Ansa
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2 commenti
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Se ne è andato. Meglio tardi che mai.
Andrea Udt, ma dov’eri finito??
non e’ che fra un anno con un altra intervista ci spieghera’ perche’ lascia Area Popolare o qualsiasi altra formazione in cui attualmente milita?