
Il Mondiale in Qatar non poteva cominciare peggio

Dopo settimane di polemiche, molte ipocrite, quasi tutte tardive, è iniziato ieri il Mondiale di calcio in Qatar. E non poteva cominciare peggio. E non per l’assenza della nostra Nazionale, quasi un’abitudine ormai, con gli Azzurri impegnati in un’inutile quanto triste amichevole contro l’Austria terminata con una sconfitta imbarazzante poche ore dopo l’inizio della Coppa del mondo.
Il divieto di birra in Qatar e il pilatesco Infantino
Se già le premesse erano pessime, tra accuse di corruzione per farsi assegnare il Mondiale dodici anni fa, migliaia di morti tra i lavoratori sfruttati e sottopagati in questi anni per costruire gli stadi in mezzo al deserto, diritti negati a donne e omosessuali così come la libertà religiosa, tifosi “finti” delle varie Nazionali in gara e troppi big assenti a causa della collocazione invernale del torneo, in pieno svolgimento dei campionati, l’inizio è stato peggiore.
A poche ore dalla partita inaugurale, è diventato ufficiale il divieto in extremis di vendere birra durante le partite, e tanti saluti allo sponsor Budweiser che ha pagato 75 milioni alla Fifa per esserci e potere vendere i propri prodotti. Niente da fare, in Qatar non si può bere birra e anche i (pochi) tifosi arrivati dall’estero e non musulmani devono adeguarsi. «Si può sopravvivere senza bere alcol per tre ore al giorno», il commento pilatesco del presidente della Fifa, Gianni Infantino, che nella conferenza stampa di inaugurazione del Mondiale ha dato vita a uno show ridicolo e inquietante, e non solo per giustificare il no alla vendita di birra negli stadi (se il principio con cui si giustificano i divieti è “si può sopravvivere”, allora vale tutto).
«Mi sento arabo, migrante, gay». Il delirio di Infantino
Infantino si è prodigato in un delirante manifesto di inclusione in cui si è presentato come il difensore del calcio e delle ingiustizie. E Infantino è l’eroe che ci meritiamo, probabilmente: «Oggi mi sento del Qatar. Oggi mi sento arabo. Oggi mi sento africano. Oggi mi sento lavoratore migrante. Oggi mi sento gay. Oggi mi sento disabile», ha detto, poco prima che il capo ufficio stampa della Fifa facesse coming out. Senza timore di rendersi ridicolo, Infantino ha spiegato di empatizzare con gli oppressi perché i suoi genitori hanno lavorato come migranti. In Svizzera. E ha aggiunto di comprendere le sofferenze dei lavoratori migranti in Qatar perché anche lui, da piccolo, è stato discriminato: a scuola infatti lo prendevano in giro per i suoi capelli rossi e le lentiggini.
In un crescendo allucinante e allucinato il capo della Federazione che organizza i Mondiali si è poi messo a dare lezioni di storia con il più classico degli schemi: la morale all’Occidente brutto, bianco e cattivo. Ha superato persino gli ambientalisti che accusano l’uomo di rovinare il pianeta dalla Rivoluzione industriale, dicendo che il Qatar avrà anche i suoi difetti, ma «per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 anni, prima di dare lezioni morali agli altri. Queste lezioni morali sono solo ipocrisia». Ipse dixit. Il benaltrismo al suo apice.
La lotta per i diritti in Qatar non vale un cartellino giallo
Poche ore dopo avere detto che «gli omosessuali saranno accolti senza discriminazioni» la Fifa ha minacciato diverse Nazionali che volevano fare indossare ai propri capitani la fascia arcobaleno: se lo fate, scatta l’ammonizione. E così oggi Inghilterra, Galles, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svizzera hanno annunciato che i rispettivi capitani non indosseranno la fascia “One Love”, bensì quella approvata dalla Fifa “No discrimination”, vaste programme. Dovevano giocare in Qatar per cambiare la storia dei diritti di quel paese, accendere i riflettori sui diritti negati, fare un gesto in mondovisione per sensibilizzare le coscienze, ed è bastato un cartellino giallo per farli desistere.
Almeno i testimonial occidentali del Mondiale sono stati pagati per dire (è il caso di David Beckham) che questo torneo sarebbe stato il torneo “dell’inclusione”, o che (è il caso di Xavi) la Nazionale del Qatar è forte e stupirà tutti: nella partita d’esordio contro il modesto Ecuador ha fatto rimpiangere certe sfide di Serie C. Una squadra finta, costruita a tavolino con stranieri forzatamente naturalizzati e “campioni” sfornati dalla Aspire Academy, in ritiro da marzo per prepararsi al meglio per l’appuntamento della vita, che non è riuscita a fare un solo tiro in porta in 90 minuti e ha perso 2-0 una partita che poteva finire anche 3 o 4 a zero.
Non solo: dopo tutto il gran parlare fatto dagli organizzatori sul pubblico partecipe e in fremente attesa di questa Coppa del mondo, le telecamere della Fifa hanno faticato a inquadrare le azioni di gioco senza che si notassero gli spalti semivuoti dall’inizio del secondo tempo: disgustati dal livello osceno della propria Nazionale, i tifosi del Qatar hanno lasciato l’impianto sul 2-0 per l’Ecuador.
I valori “buoni” e l’ipocrisia su Russia e Iran
Il Mondiale nell’Emirato ha così svelato il più clamoroso cortocircuito sportivo-culturale di sempre: l’idea che il calcio sia uno strumento per portare nel mondo certi valori “buoni” si scontra con i soldi degli emiri da un lato, e con la debolezza intrinseca di quegli stessi valori, che non valgono un cartellino giallo o un boicottaggio vero della manifestazione (alla fine sono tutti in Qatar, e i tifosi tutti davanti alla tv con record di ascolti). Oggi è il giorno di Inghilterra-Iran, e qui si aprirebbe un altro tema su cui la Fifa e il mondo del calcio in generale fanno sfoggio di ipocrisia: data per giusta l’esclusione della Russia dai Mondiali perché Putin ha scatenato la guerra in Ucraina, che ci fa in campo la Nazionale di un regime che sta soffocando nel sangue le proteste dei propri cittadini?
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