La preghiera del mattino

Proprio non ce la fanno ad accettare che Biden consideri la Meloni un’alleata indispensabile

Di Lodovico Festa
31 Luglio 2023
Rassegna ragionata dal web su: le capriole intellettuali della sinistra che non vuole riconoscere l’intesa tra Washington e Roma, i giochi russo-cinesi per destabilizzare l’Italia, il ruolo del nostro paese per l’Occidente
Il presidente americano Joe Biden e la premier Giorgia Meloni al summit Nato di Vilnius, Lituania
Il presidente americano Joe Biden e la premier Giorgia Meloni al summit Nato di Vilnius, Lituania, 12 luglio 2023 (foto Ansa)

Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «In realtà è tutto da vedere quale sia l’atteggiamento di Washington – almeno dell’amministrazione attuale – verso l’aspetto centrale di quella che viene preannunciata come l’iniziativa italiana. Che è, come tutti hanno capito e la stessa Meloni non manca di ammettere, l’obiettivo di premiare le classi dirigenti dei paesi africani che si impegnano a bloccare la partenza di profughi verso l’Europa e soprattutto l’Italia. Gli americani – almeno, ripetiamo, l’amministrazione Biden – hanno un’altra visione sul modo in cui l’Occidente deve impostare la questione degli aiuti allo sviluppo dei paesi economicamente più arretrati, soprattutto africani: il rispetto dei diritti umani e delle forme della democrazia così come la intendiamo in Occidente. Va da sé che questi princìpi cozzano inevitabilmente con il cinismo con cui Meloni (e non solo lei in Europa) sorvola allegramente sulla natura dispotica e repressiva dei regimi cui chiede collaborazione per bloccare il flusso dei migranti. Che è, in tutta evidenza, l’unico obiettivo che ha in testa e ossessivamente persegue. È molto probabile, perciò, che non abbia ottenuto a Washington uno degli obiettivi, forse il più importante, che perseguiva. Nonostante una generica espressione di consenso all’attenzione che l’Italia dedica all’Africa c’è da supporre che l’italiana non sia riuscita ad ottenere un qualche ammorbidimento di Biden neppure sulla questione più delicata, quella della concessione del prestito del Fmi alla Tunisia bloccata soprattutto dal peso del no statunitense finché il governo del paese maghrebino non dimostrerà di voler attuare almeno un minimo di riforme in senso democratico e civile. Il fatto che Meloni sia arrivata a Washington mentre i media, anche americani, mostravano le immagini dei profughi respinti dalla polizia tunisina a morire nel deserto non l’hanno certo aiutata. Ed è giusto così».

È comprensibile che chi milita con passione in una sinistra europea in enormi difficoltà, non si rassegni al fatto che anche i democratici americani tengono conto della realtà e che quindi considerano un’esponente del conservatorismo europeo un’alleata indispensabile per contrastare l’aggressione russa all’Ucraina e per contenere l’egemonismo cinese innanzi tutto in Africa. E in questo senso è un peccato che un giornalista così intelligente come Soldini debba arrampicarsi sugli specchi per sostenere le sue tesi antimeloniane.

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Su Linkiesta Amedeo La Mattina scrive: «La presidente del Consiglio mostra nel suo palmarès il lavoro fatto per affrancarsi dal tossico gas russo e per stabilizzare quel pezzo d’Africa dove serpeggiano tentacoli cinesi e wagneriani russi. Giorgia l’Africana si presenta di fronte al Deep State americano con l’impresa titanica anti immigrazione del Piano Mattei, come punto di riferimento nelle acque mediterranee, mentre gli Stati Uniti tengono d’occhio il mare cinese. Prima di incontrare in serata Biden, Meloni ha discusso con il presidente della Commissione esteri, il senatore Bob Menendez, di Global South e gli ha illustrato il lavoro diplomatico che sta svolgendo per l’Africa. Fonti italiane hanno riferito che Menendez è rimasto colpito per il lavoro “impressive” che l’Italia sta portando avanti su queste questioni. Sono lontane le esercitazioni sovraniste trumpiane, gli applausi di Atreju al guru Steve Bannon. Le metamorfosi politiche sono ispirate dalla Realpolitik e giustificano la richiesta di aiuto al nuovo amico Joe per sbloccare quei soldi che il Fondo monetario internazionale non vuole dare alla povera Tunisia. Sono 1,9 miliardi di dollari che bloccano il miliardo di euro dell’Europa per fermare l’onda migratoria. Difficile che Washington possa fare qualcosa. Il Washington Post ha scritto che Meloni “entra a far parte del piccolo club dei leader di estrema destra che hanno incontrato Joe Biden alla Casa Bianca”. Non è stato così per il brasiliano Jair Bolsonaro e l’ungherese Viktor Orbán, da quando governa Biden. Che ha bisogno anche dell’Italia per portare a termine la guerra in Ucraina, coinvolgere il Sud globale e tenere testa a Xi Jinping. Proprio adesso che la Russia potrebbe perdere l’Africa (al summit in corso a San Pietroburgo si sono presentati solo sedici capi di Stato africani; erano quarantatré quelli che hanno partecipato al primo vertice che si svolse a Sochi nel 2019). Non ha tempo, il pragmatico vecchio Joe, per rinvangare la vicinanza della presidente del Consiglio italiana a Trump. Non ha interesse a discutere con l’underdog, diventata presidente del Partito conservatore europeo e presidente del Consiglio, gli aspetti controversi delle destre europee e americane: la difesa dei diritti Lgbtq, il mancato riconoscimento del drammatico cambiamento climatico, lo scontro con i giornalisti “dissidenti”. Meloni rappresenta l’Italia e, come in passato durante la Guerra fredda, quando si sta in trincea tutti i colori delle divise sbiadiscono. È la sua fortuna in questo ciclo politico».

La Mattina è un altro intelligente giornalista, come Soldini solidamente antimeloniano, è però più attento alla realtà effettuale delle cose, e non può quindi negare il successo della Meloni a Washington.

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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «L’imperialismo Usa viene così chiamato a un ruolo assai simile a quello che svolse nell’immediato secondo dopoguerra. L’Ue non esisteva e non esisteva una Cina così potente protesa al potere marittimo. In questo nuovo scenario l’Italia dovrà trovare il suo interesse nazionale prevalente. E deve farlo al più presto, come in verità mi pare si stia facendo».

L’occhio dello storico di valore coglie il punto della situazione internazionale e del ruolo che l’Italia può e in parte sta giocando.

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Su Formiche Gianfranco Rotondi dice: «L’asse portante dell’alleanza occidentale tra Europa e Stati Uniti è l’Italia perché della Francia conosciamo le criticità e perché il governo tedesco vive una condizione di crisi strutturale, in quanto fondato su un’alleanza anomala dove la politica estera non è certamente la bussola unificante. Alla luce di tutto ciò, oggi per gli Stati Uniti d’America e in generale per l’Occidente la postazione italiana è fondamentale. Lo è stata sempre per ragioni geografiche, geopolitiche, ma adesso ancor più per la fragilità degli equilibri politici europei».

Rotondi spiega bene come gli errori dei francesi in Libia e dunque in Africa, e quelli dei tedeschi con Russia e Cina, abbiano lasciato un grande spazio all’Italia che gli americani hanno tutto l’interesse strategico a utilizzare. Naturalmente come sempre nelle vicende umane ci possono essere errori e questi errori possono produrre talvolta effetti catastrofici. Però oggi si offre al nostro paese una chance reale. Per sfruttarla a pieno vanno evitati diversi errori: il primo è quello di dividere in modo inconciliabile il conservatorismo italiano e quello europeo tra moderati e radicali. Le varie strategie di destabilizzazione, innanzi tutto cinesi e russe, ma nel passato anche di un certo unilateralismo americano e talvolta di settori microimperialistici francesi, nonché di una Germania che di tanto in tanto è apparsa più un’espressione commerciale che politica, hanno una principale arma, quella della disgregazione politica (con la variante della disgregazione territoriale, dalla Catalogna alla Scozia). Naturalmente ogni impulso incivile, sciovinista, razzista, classista, sessista va contrastato, ma lavorando per includere, non escludere, la più ampia parte possibile della società.

Per quel che riguarda le élite poi, innanzi tutto quelle politiche, è indispensabile aiutare anche a sinistra l’impegno di chi difende gli interessi dell’Italia sulla scena internazionale, contrastando chi usa la scena internazionale per destabilizzare l’Italia come è avvenuto ripetutamente dal 1992 a oggi. E in questo senso ci manca molto oggi un ruolo attivo di una personalità ben dentro le relazioni internazionali ma fuori dagli schieramenti politici come Mario Draghi. È auspicabile che torni presto in campo per aiutare il nostro governo e il nostro parlamento a pesare sullo scacchiere globale.

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