
PROLIFE O PROCHOICE? I DEMOCRATICI SI RICREDONO
Scrivere ‘liberals prolife’ non è più un ossimoro. Nel 1995 l’Atlantic Monthly pubblicò un lunghissimo saggio dal titolo ‘On abortion: a lincolnian position’. Il magazine spiegava che nella saggistica democratica la parola aborto stava rapidamente scomparendo, nascosta sotto le maglie rassicuranti di parole neutre e asettiche come «procedura sanitaria riproduttiva» e «fine della gravidanza», e che il cosiddetto diritto all’aborto si era travestito con il termine placebo di «libertà procreativa». Nel progetto di legge del 1993 di Bill Clinton, con il quale venivano nazionalizzati i fondi federali per l’aborto, non compariva mai la parola aborto nelle oltre 1.300 pagine di cui era composto. Un famoso polemista di sinistra, Christopher Hitchens, in un lontano articolo del 1989 sulla rivista progressista The Nation, scrisse che il feto veniva sempre più considerato come una «protuberanza della donna», una «escrescenza amputabile».
Le cose, almeno in parte, stanno cambiando. È nata un’organizzazione dalla sigla eloquente: ‘Democrats for Life of America’. Poi sono arrivate le antiabortiste che votano democratico: ‘Feminists for Life of America’, di cui fanno parte volti storici del femminismo americano come Susan Anthony ed Elizabeth Stanton. Anche all’interno dell’opposizione si rinsaldano le fila di chi, sulla questione della vita, ha assunto una posizione sempre più smarcante rispetto alla storica linea pro-choice. Si tratta di Tom Daschle, Richard Gephardt e Ted Kennedy. Il Washington Times pochi giorni fa ha scritto che sono sempre più numerosi i distinguo dal «minimalismo intellettuale» che vorrebbe far passare pari ad «un nulla» la serie biologica zigote-embrione-feto. C’è ovviamente anche un calcolo politico: secondo il San Francisco Chronicle la maggior parte degli afro-americani non è a favore dell’aborto e della ricerca sulle staminali embrionali. E gli afro-americani votano storicamente democratici. Un sondaggio Gallup rivela inoltre che i candidati democratici pro-life, riferiti a dieci stati campione durante le ultime elezioni presidenziali, hanno conquistato dal 5 al 10 per cento in più degli avversari prochoice.
I malumori nel partito democratico aumentano, soprattutto dopo l’uscita del 24 gennaio scorso di Hillary Rodham Clinton, quando sostenne che l’aborto è uno strumento praticabile «solo in casi eccezionali». E anche lo speechwriter di Al Gore, Kenneth Baer, si è chiesto pubblicamente come possa un partito civile fare della battaglia per l’aborto una priorità nella sua agenda politica. A dare la cifra del nuovo clima è stata Kristen Day, leader del gruppo antiabortista ‘Democrats for Life’, che intervistata dalla Jewish World Review ha detto: «Tre anni fa, quando abbiamo fondato il movimento, non sentivamo alcun genere di dialogo. Oggi è tutto diverso».
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