Professione assassino, ma Statham non è Bronson

Di Simone Fortunato
29 Agosto 2011
A più di trent'anni dall'originale, al cinema torna Professione assassino. Nei panni del killer professionista non c'è Charles Bronson ma il muscoloso Jason Statham e la differenza, purtroppo si nota

Remake dell’omonimo film del 1972 con Charles Bronson in versione giustiziere. Il film è inferiore all’originale, già non memorabile ma segnato dalla figura triste e carismatica del grande Charles. Professione Assassino è un film fatto su misura per Jason Statham, faccia da schiaffi e fisico tonico, una sorta di reincarnazione dei vari Steven Seagal e Lorenzo Lamas ma con più qualità. La storia, piuttosto ovvia, ricalca quelle di tanti film del genere, da Leon indietro fin proprio al filone de Il giustiziere della notte. Un killer professionista viene ingaggiato per ammazzare il suo capo/mentore. Ma la cosa non sarà semplice, anche perché il rapporto col figlio dell’amico è sempre più stringente. Cruento in più di un momento e in particolar modo quando entra in scena Ben Foster alle prese con una prima missione, il film di Simon West (Con Air, Tomb Raider) è molto prevedibile nello svolgimento a causa di una sceneggiatura che riduce al minimo la psicologia dei personaggi anche laddove narrativamente ci sarebbe stato spazio per raccontare (il rapporto tra Statham e Foster), per concentrarsi meramente su un’azione viziata da una suspense appena sufficiente e soprattutto da coincidenze troppo forzate.

 

I colpi di scena sono telefonati e non basta il doppio finale a scongiurare la sensazione di già visto. Statham si impegna e continuiamo a credere che sia uno dei pochi attori in grado di non sfigurare in un action puro, specie dopo averlo visto ne I mercenari. Non sarà mai il nuovo Willis e forse nemmeno Stallone, ma prenderlo per un Lundgren qualsiasi pare offensivo; ha solo bisogno di scegliersi regista e sceneggiatori giusti. Comunque il ragazzo si impegna, picchia duro e ha una faccia che buca l’obiettivo; anche Foster si difende, nonostante sia capitato in un film che non è proprio nelle sue corde. Il resto è normale amministrazione per un film da seconda serata: le comparsate di ex attori riciclati (Sutherland), un discreto caratterista (Tony Goldwyn), i soliti ceffi da da thriller di secondo piano (Jeff Chase su tutti). Manca del tutto l’ironia, mentre a non mancare sono ralenti inutili e le solite scorciatoie a uso e consumo di sceneggiatori a corto di idee. Una volta per ricercare una persona, si facevano appostamenti e pedinamenti, ora sembra che Google abbia risolto i problemi di tutti. Anche di chi deve cercare il suo capo per farlo fuori.

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