
Prodi, dove sta fa male
La retorica istituzionale sull’Europa ha inondato i giornali. Gli appelli a non modificare la Carta in termini sostanziali si riproducono a destra e a sinistra con diversi obiettivi. Ma come si fa a non essere d’accordo con quanto scrive Cossiga a proposito della Carta Europea? Il presidente mostra con la sua consueta sagacia quanto numerosi e autorevoli studiosi hanno già ampiamente argomentato (vedi Quadrio Curzio e Joseph Weiler). Siamo di fronte ad un accordo di potere che sancisce un’unione europea già viziata di verticismo e tecnocraticismo burocratico. La Carta Europea dimentica la grande dottrina internazionalista e costituzionalista, non precisa le competenti funzioni tra Unione, Stati e Regioni e non prevede neanche la consultazione dei cittadini per una sua ratifica. A queste considerazioni noi aggiungiamo la dimenticanza totale, tra le altre cose, di ogni accenno alla sussidiarietà orizzontale e all’ambiente e la sua farraginosità confusa. Ha ragione Cossiga anche quando afferma che l’attuale Europa è già all’origine di molti dei mali economici, con il suo dogmatismo e la sua unilateralità a riguardo dei vincoli di bilancio, che non sono compensati da indicazioni su investimento e sviluppo. Firmare questa carta vorrebbe dire imbavagliare definitivamente il nostro continente, dando vita a fenomeni di fuga inevitabile per sopravvivere tipo quella svedese. Chi potrà, percorrerà delle strade alternative: la Gran Bretagna continuerà a decidere con gli Stati Uniti, la Spagna non potrà mai accettare l’abbandono dell’America Latina sancito a Cancun, l’Est europeo eviterà di legarsi ad un’Europa che già lo stritola. Questa Carta in salsa massonica è frutto sia della mediocrità culturale e politica della socialdemocrazia tedesca che, volendo cambiare le sorti dell’Europa, è riuscita a distruggere il miracolo economico di Kohl, sia della pretesa di grandeur dei politici francesi che pensano ancora di abitare a Versailles quando ormai risiedono in un condominio. Berlusconi dovrebbe davvero mandare all’aria la Carta e sarebbe meschino il puro pensiero di passare alla storia per aver ratificato un tale abominio. Abbiamo già un presidente di Commissione che, smessi i panni di garante della democrazia contro le egemonie nazionaliste, da quando pensa di tornare a Roma, si distingue per non opporsi al dirigismo del duopolio che domina l’Europa, per l’anti-americanismo di maniera, per la difesa del liberismo economico che permette alla concorrenza sleale asiatica di uccidere le imprese europee, per la politica di dazi e sovvenzioni all’agricoltura decotta che ci rende ostili all’America Latina, per il silenzio sulla sussidiarietà orizzontale, per l’emarginazione della volontà popolare. è meglio che torni in Italia o che stia in Europa?
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