Privatizzare la Rai. Il signor B in “conflitto di disinteresse”

Di Emanuele Boffi
31 Gennaio 2002
Accade che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sostenga ai microfoni della radio francese “Europe 1”

Accade che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sostenga ai microfoni della radio francese “Europe 1” che «Nel programma del governo c’è la privatizzazione di due canali (Rai, ndr), e noi la faremo» e che spiazzi, così, in una sola volta, amici e nemici. I nemici del Fnsi e dell’Usigrai, che si trovano costretti ad ammettere una «singolare consonanza di opinioni» con il loro nemico pubblico numero 1, e l’amico Fedele Confalonieri che, il giorno precedente, aveva rilasciato dichiarazioni sibilline al Corriere. Nell’intervista, alla domanda se fosse favorevole ad una privatizzazione della Tv pubblica, il presidente Mediaset aveva risposto «Non ho pregiudiziali; mi domando se sia utile» e «vendere la Rai vuol dire mettere fuori 4-5mila persone. Solo di giornalisti ne andrebbero a casa 600-700».

Se il Cavaliere porterà in porto quanto dichiarato sarà un bel caso di “conflitto di disinteresse”. Non è un mistero infatti (e Confalonieri lo sa bene, aldilà di un posticcio interessamento per le sorti di colleghi giornalisti Rai) che a lasciare la situazione così com’è ci guadagnerebbero sia Rai che Mediaset. La Rai, che, come ha scritto Il Foglio, potrebbe continuare a essere quella «provincia consolare da basso impero» dove si distribuiscono «prebende di palinsesto usate come metodo di governo». E Mediaset che, avvantaggiata dall’avere un antagonista fiacco o perlomeno dello stesso livello, non vedrebbe osteggiata la propria recente leadership mediatica. Al duopolio televisivo italiano non piacerebbe certo far entrare terzi incomodi che rovinino la cristalleria di un sistema (anche di raccolta pubblicitaria) equilibrato e fragile al tempo stesso. Il caso La7 è ancora lì a dimostrarlo. Ma qualcosa va pur fatto e la privatizzazione sembra l’unica via d’uscita per una situazione di stallo (e di comodo, per molti ma non per tutti).

Che il Cavaliere faccia ciò che dice, Tempi se lo augura. Darebbe una bella lezione politica e di stile a quanti ancora oggi, sotto ridicoli richiami moralistici al “conflitto di interessi”, voglione de facto cambiare tutto per non cambiare niente.

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