Prima vittima geopolitica del Covid: tra le isole del Pacifico la pace è in crisi

Di Rodolfo Casadei
01 Marzo 2021
L'integrazione regionale in Oceania rischia di saltare perché i leader locali, costretti a parlarsi su Zoom, non possono più dedicarsi al "talanoa"
Cerimonia di apertura del Forum delle Isole del Pacifico 2019

La pandemia da Covid ha fatto la sua prima vittima sulla scena politica internazionale: la cooperazione regionale fra i paesi dell’Oceania. In seguito all’elezione del candidato delle Isole Cook a segretario generale del Forum delle isole del Pacifico per il triennio 2021-2023, cinque stati del Pacifico settentrionale hanno abbandonato l’organizzazione intergovernativa che dal 1971 opera al servizio della cooperazione fra i paesi dell’Oceania. I cinque stati (Isole Marshall, Kiribati, Nauru, Palau e Stati Federati di Micronesia) appartengono all’area della Micronesia e rappresentavano quasi un terzo dei membri del Forum del Pacifico, che in tutto erano 18 prima della recente defezione.

Cosa c’entra il Covid con la crisi del Forum? C’entra moltissimo, perché una delle ragioni per le quali i membri dell’organizzazione non hanno potuto raggiungere un accordo sul nome del successore del segretario uscente, Meg Taylor della Papua Nuova Guinea, è che dal 2019 i capi di Stato e di governo non riescono a incontrarsi di persona a causa delle restrizioni dettate dall’epidemia, e questo ha grandemente ostacolato le trattative fra le parti, che nella cultura dei popoli polinesiani, melanesiani e micronesiani richiedono rapporti personali diretti e lunghe ore dedicate a exploit narrativi. Il Covid ha compromesso uno dei tratti distintivi della cultura dei popoli dell’Oceano Pacifico, che va sotto il nome di “talanoa”.

Che cos’è il talanoa

Di cosa si tratti, senza tirare in ballo gli etnologi, lo si può capire leggendo il testo del preambolo scritto dalla delegazione delle Figi quando il paese si è trovato a presiedere nel 2017 i dibattiti della Cop23, la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici che in quell’anno si teneva a Bonn:

«Talanoa è un termine tradizionale utilizzato nel Pacifico per definire un dialogo inclusivo, partecipativo e trasparente. Lo scopo del talanoa è di condividere storie, di costruire unanimità e di prendere decisioni sagge per il bene collettivo. Il processo del talanoa implica la condivisione del sapere, delle idee e delle esperienze sotto forma di racconto».

Prese il nome di “Talanoa Dialogue” la modalità negoziale della serie di incontri che ebbero luogo fra la fine della conferenza di Bonn e quella di Katowice in Polonia nel 2018 (Cop24).

La videoconferenza finita male

Causa Covid il talanoa che avrebbe dovuto servire a scegliere all’unanimità il nuovo segretario generale del Forum delle isole del Pacifico è stato sostituito da una non-stop su Zoom iniziata il 3 febbraio scorso e conclusa tempestosamente il 4 febbraio con l’elezione a scrutinio segreto di Henry Pune, già premier delle Isole Cook per un decennio. Costui al ballottaggio ha sconfitto il candidato delle Isole Marshall e dei cinque stati della Micronesia, l’ambasciatore Gerald Zackios, per 9 a 8 (1 astenuto).

Nei giorni seguenti i sostenitori di Zackios hanno deciso l’uscita in massa dal Forum dichiarando che era stata disattesa la regola non scritta in base a cui la carica del segretario generale doveva essere ricoperta a rotazione da un esponente delle tre macro-aree in cui l’Oceania è divisa: Melanesia, Polinesia, Micronesia. Secondo questa regola non scritta, era il turno di un micronesiano di prendere la guida del Forum, ma così non è stato.

«Noi micronesiani emarginati»

Ha scritto su The Guardian il presidente di Palau, Surangel Whipps Jr:

«Per due anni i leader micronesiani si sono preparati per il loro lungamente atteso turno alla guida del Forum delle isole del Pacifico. Tuttavia, man mano che l’appuntamento si avvicinava, è risultato chiaro che membri del Forum delle isole del Pacifico al di fuori della Micronesia non si sentivano impegnati dalla consueta procedura. I membri più forti del Forum, comprese Australia e Nuova Zelanda, hanno reso noto il loro interesse per altre candidature.

Il Forum pretende di mettere insieme 18 nazioni in “Un solo continente del Pacifico blu”, unito negli sforzi di promuovere pace, armonia, inclusione sociale, partecipazione paritaria e prosperità. Dovrebbe essere un’unione di uguali. La Micronesia non si è mai sentita veramente “uguale”, ma neppure si era mai sentita così completamente ed apertamente emarginata come in occasione di questo processo decisionale».

Questione di sfere di influenza

Effettivamente il Forum delle isole del Pacifico è nato nel 1971 come Forum del Pacifico meridionale, e solo nel 1999 si è trasformato in Forum delle isole del Pacifico e ha ampliato il numero degli aderenti fino a comprendere, a partire dal 2016, anche territori non indipendenti come la Nuova Caledonia e la Polinesia Francese raggiungendo il numero di 18 membri effettivi. Da soli i tre paesi principali – Australia, Papua Nuova Guinea e Nuova Zelanda – rappresentano il 95 per cento degli abitanti di tutti gli stati affiliati al Forum. Da sola l’Australia rappresenta il 60 per cento del peso demografico dell’Oceania.

I cinque stati della Micronesia non solo sono poco popolati (in tutto 310 mila abitanti), ma sono considerati estensioni degli interessi degli Stati Uniti, essendo tre di essi legati a Washington da accordi di libera associazione; si tratta delle Isole Marshall, di Palau e degli Stati Federati di Micronesia. La Melanesia rappresenta invece un’area di influenza dell’Australia e la Polinesia quella della Nuova Zelanda. Australia e Nuova Zelanda hanno favorito la recente cooptazione dei territori oceanici francesi (Nuova Caledonia e Polinesia Francese) nel Forum, ma non quella dei territori statunitensi della Micronesia: Samoa Americane, Guam e Isole Marianne Settentrionali, che hanno solo lo status di osservatori. Gerald Zackios, lo sfortunato candidato alla segreteria battuto per 9 voti a 8, è stato ambasciatore delle Isole Marshall negli Stati Uniti.

Tra i mille litiganti, «gode la Cina»

Inoltre i tre paesi della Micronesia che hanno accordi di libera associazione con gli Stati Uniti non hanno sottoscritto il Pacer Plus, l’accordo di libero scambio fra i paesi del Forum delle isole del Pacifico che dovrebbe fare da argine all’espansionismo commerciale della Cina. Ma non tutti sono d’accordo con la bontà strategica di questa iniziativa. Scrive Cleo Paskal del programma Asia-Pacifico di Chatham House:

«Secondo il governo della Nuova Zelanda, Pacer Plus è stato congegnato per “preservare la posizione della Nuova Zelanda (e dell’Australia) contro grossi concorrenti provenienti dall’esterno della regione negli anni a venire”. In realtà, esso darà alle compagnie cinesi sostenute dal Partito Comunista Cinese registrate in Australia e Nuova Zelanda lo stesso accesso preferenziale ai paesi del Pacifico che hanno sottoscritto l’accordo. E quelle compagnie cinesi camuffate, ben dotate di liquidità e appoggiate dal potere politico, si troveranno in una buona posizione per mettere fuori dal mercato la Nuova Zelanda. Un piccolo gruppo di politici a Canberra e a Wellington sta immaginando di procedere a un rapido processo di integrazione regionale, ma in realtà sta creando una situazione di frammentazione dove tutti ci perdono tranne Pechino».

Discorsi che avevano bisogno di essere approfonditi di persona, e non con incontri su Zoom.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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