Peggio dell’uomo in tanga ci sono le “buone intenzioni” del Pride

Ora che nulla distingue il mese dell'orgoglio lgbtq+ dagli altri 11 mesi, che tutti zompano sui carri e l’arcobaleno è stato brandizzato, come si mantiene lo status di discriminati? «Inizia a indottrinare i bambini e rinvigorirai l'omofobia»

«Siamo un milione», «oltre un milione», «più di un milione» al Pride di Roma. E sì che basterebbero questi, i titoli sul milione di persone in piazza (alla questura ne sono risultate 50 mila), per ribadire che delle parate dell’orgoglio non restano che articoli d’ordinanza e ordinaria opportunità di marketing.

La liturgia non è più da tempo quella specialissima del dì di festa: oggi sui carri di quel Pride che millantava di sfidare leggi e pregiudizi della società, sempre come rivolta e mai come accordo con il potere, zompettano anche la segretaria del Pd e il sindaco della capitale, ed è sempre più difficile capire cosa distingua giugno, mese dell’orgoglio, dagli altri undici mesi. Ora che i diritti sono diventati la religione dei salotti, ora che il Pride è stato aziendalizzato, ora che l’arcobaleno fodera tutto l’anno le città di tutta Italia e si è reso brand un acronimo in continua espansione (LGBTQIAPK+), quale altro spauracchio agita-reazionari poteva sventolare un movimento del vittimismo perpetuo e del dirottamento verso l’ideologia di genere?

Ora che tutto è Pride punta ai bambini: scatenerai gli omofobi

Gli attivisti hanno bisogno di una ragione per esistere (e continuare a raccogliere denaro) e dirsi discriminati, in questo senso «il tentativo di indottrinare i bambini nell’ideologia di genere e di trasformarli sull’orlo della pubertà ha cambiato il dibattito. Inizia a indottrinare e trasformare i bambini… e rinvigorirai uno dei luoghi comuni omofobici più antichi che ci siano: “i gay sono molestatori di bambini”». Andrew Sullivan lo diceva a proposito della débacle dell’edizione 2023: eletto il transgender eroe del nuovo millennio e la comunità “queer” nuova divinità del marketing, anche una operazione di branding di routine come il Pride rivolta ai ragazzi si era rivelata micidiale nell’America di Biden: boicottaggi, rivolte dei genitori, calo nei sondaggi dei sostenitori delle istanze Lgbt.

Leggi anche:

Ma come abbiamo scritto e riscritto a proposito della sordità tutta italiana alle lezioni di chi ha almeno dieci anni più di noi in materia di bambini, diritti e transizioni di genere, quando si tratta di influenzare i bambini e stanare “bigotti” la QueeResistenza non sente ragioni.

Elly Schlein balla, canta e saltella con Alessandro Zan sul carro del Roma Pride (Ansa)

Vai in tanga tra i bambini al Pride e il problema sarà Salvini

Ecco che allora se un uomo in perizoma distribuisce bandiere arcobaleno ai bambini piccolissimi del Verona Pride la notizia è “l’ira di Salvini” (il ministro aveva twittato «Io rispetto e difendo gli orientamenti e le scelte d’amore e di vita di tutti, ma non apprezzo esibizionismo ed ostentazione. Questo tizio mezzo nudo fra i bambini al Pride di Verona cosa c’entra coi diritti civili? Chi chiede rispetto, porti rispetto agli altri»).

E se a Genova si allestisce un Village Kids Liguria Pride ai Giardini Luzzati il problema è la «disinformazione» e la «campagna di odio gratuita» della Lega (i consiglieri avevano chiesto al sindaco Bucci di avere chiarimenti in merito a un evento “che ha come tema la diffusione della teoria gender tra i bambini”); il problema è il «pensiero unico della destra» e l’«invenzione delle associazioni neocattoliche» della Teoria Gender che «non esiste».

Il gender non esiste, may the queer be with you

Del resto quelli del coordinamento Liguria Rainbow sono sempre stati chiari: in parata al Liguria Pride Village, sempre ai Giardini Luzzati, protagonista sarebbe stata la “FURIA”, «QUEER, CREATIVA, RIGENERATIVA motore della nostra RESISTENZA INTERSEZIONALE contro un sistema millenario, permeante, un sistema PATRIARCALE che dobbiamo SMONTARE dalle fondamenta, fuori e dentro di noi», «la FURIA TRANS* che decostruisce ogni norma imposta, patriarcale e cisetero», «la FURIA che abbraccia tutte le soggettività oppresse e spiana la strada per la loro autodeterminazione», mentre i ragazzini giocano a “May the queer be with you” con le spade laser, partecipano al “genderoke versione kids” e i grandi partecipano ai talk “kink & fetish, liber di essere fier*” o “Queer as talk, soggettività trans, minori e autodeterminazione”: in effetti solo un leghista neocattolico di destra avrebbe potuto tirare in ballo il gender.

Leggi anche:

Più a nord, puntuale come il Pride, la Regione Lombardia ha negato il patrocinio e altrettanto puntualmente il sindaco Beppe Sala ha ribadito che sarebbe salito sul palco con Alessandro Zan per ribadire «con forza la nostra vicinanza, come Comune e come uomo» al Milano Pride e alle sue istanze: ricordate i proclami sulle trascrizioni di minori all’estero a mezzo dell’utero in affitto come figli di due papà e il palco condiviso con chi invocava pubblicamente la Gpa per le Famiglie arcobaleno?

Figurati se Sala non invitava i bambini, It’s Pride, baby!

Di più, dopo aver promesso un «Rainbow Center come in altre città internazionali, un centro servizi, spazio eventi e dove troverà posto lo storico archivio dell’Arcigay milanese» Beppe Sala ha rivolto un invito a partecipare a Pride proprio a loro, «le famiglie e i nonni con i bimbi. Non è un problema di indirizzare la cultura dei nostri bambini ma far conoscere loro certe tematiche nella loro complessità, è utile per rendersi più conto dei temi che trattiamo».

Ai temi i giornali hanno dedicato i soliti “consigli per parlare ai bambini del Pride Month e dei diritti LGBTQIA+”: tra questi l’invito «rappresentare la comunità Lgbtq+ anche con i giocattoli», «fornirgli giocattoli, libri e media», semplificare al massimo, buttarla sempre sull’amore. I titoli non mancano – It’s Pride, baby! -, il merchandising e i “laboratori” per esplorare le “identità possibili” nemmeno. E non solo al Pride: Elle si premura di ribadire che la teoria del gender non esiste ma le squadre sportive che rappresentano un posto sicuro per “i bambini trans” sì, dacché essere «essere transgender o gender fluid o non binari non è una scelta» ma «uno stato di cose».

Foto di Patrick Perkins per Unsplash

Il bambino, pietra d’inciampo dell’ideologia di genere

E in effetti è nello stato delle cose che la questione trans sia improvvisamente ovunque: dalle medie ai licei sono spuntati i transgender e i non binari, gli adulti hanno iniziato a inserire i pronomi nelle biografie social, gli asterischi nelle mail, se ne dibatte in tema di sport, carceri, ospedali. C’è solo una pietra d’inciampo. Quando tutto è Pride e  sui carri non manca più nessuno, politici, intellettuali, autorità, sponsor, libri, divise, film e giocattoli (a Milano non manca nemmeno la variante queer “extraparlamentare” della Marcia, la Marciona che rivendica «una vera traNsformazione sociale. Siamo le zoccole dure, siamo le frocie nuove. Siamo marce, non merce»), il bambino resta sempre la grande questione.

Leggi anche:

È lì a ricordarci che viene, veniamo tutti, dal rapporto con l’altro sesso, è l’oggetto di tutti i desideri e le rimozioni, la botola per tutte le sperimentazioni a base di tecnica e gameti, l’inizio e l’avvenire, il bandolo della matassa che diventiamo da adulti.

Adulti che giocano alla rivoluzione culturale

Il caso è serissimo, lo spiegava bene a Tempi Claudio Risé a proposito della dinamica e il fine delle politiche Lgbt mascherate da buone intenzioni (“c’è posto per tutti sotto l’arcobaleno”), servirsi «dell’effettiva compresenza psicologica di maschile e femminile nell’individuo per spingere in secondo piano la relazione reale con l’altro sesso presentandola come superflua. Questa operazione spegne l’aspetto e la funzione del bambino come portatore del nuovo e lo rinchiude in una sterile autocontemplazione narcisistica, rendendolo totalmente manipolabile dall’esterno».

Lo abbiamo scritto tante volte: è proprio lì, sul limitare di infanzia e adolescenza, che con molecole, ormoni e fantasie sui rapporti e la neutralità sessuale che gli adulti stanno giocando alla rivoluzione culturale. Gongolando per le reazioni di Salvini e applaudendo i sindaci che zompettano sui carri o invitano i nonni a partecipare al Pride con i loro utilissimi nipotini.

Foto di Mercedes Mehling su Unsplash

Exit mobile version