Precari, uscite dal limbo

Di Emanuele Boffi
12 Giugno 2003
Un inno alla precarietà? Macché, è il contrario. Il sottosegretario al Welfare, Sestini, spiega perché la riforma Biagi farà quel che il centro sinistra non ha fatto

“Flessibilità” è la parola d’ordine all’indomani della presentazione del maxidecreto (ben 86 articoli) per l’attuazione della cosiddetta Riforma Biagi. Opposte le reazioni: pollice verso per Cgil e sinistra, plauso da Confindustria (Antonio D’Amato ha parlato di «riforma straordinaria»), Cisl e Uil. Mariagrazia Sestini, il sottosegretario al Lavoro obiettivo delle Br Lioce e Galesi, difende a spada tratta l’operato del Governo: «non è una rivoluzione, ma è un cambiamento importante nel nostro modo di intendere il lavoro». All’ex ministro Tiziano Treu che l’ha definita una legge «modesta», il sottosegretario risponde che «noi abbiamo in Italia un mercato superato e ingessato con diritti che non si toccano. Questa situazione ha finito col rivoltarsi contro i lavoratori stessi. Ancora peggio: ha creato delle sacche di garantiti a scapito di tutti gli altri. La riforma è cominciata con un governo di centro sinistra, proprio con il pacchetto Treu. Per certi versi, noi non abbiamo fatto altro che portare alle estreme conseguenze quel pacchetto, senza subire il ricatto ideologico della Cgil». Mentre un ringraziamento va «a quelle sigle, penso alla Cisl, che per questo sta pagando un prezzo molto alto, che hanno accettato di sedersi al tavolo per discutere, privilegiando la riforma a interessi di bottega».

Quei giovani nel limbo
Dunque? Dunque avanti tutta. Con il documento di Lisbona l’Italia si è impegnata con l’Unione europea a raggiungere un tasso di occupazione del 70% entro il 2010 (attualmente è del 54%). L’addio ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co), l’introduzione di forme occupazionali come job on call, job sharing o quant’altro (cfr. box a lato) «vanno, di fatto, a sistemare quelle figure che sono esistite in questi anni e che sono proliferate a margine del mercato ufficiale. Negli ultimi 5 anni solo il 4% di coloro che hanno fatto ingresso nel mercato del lavoro hanno trovato occupazione tramite i vecchi uffici di collocamento». Cosa significa? «Che il monopolio statale ha miseramente fallito perché la gente ha trovato lavoro in altro modo: o con reti di relazione diverse (parentali e amicali), o con strumenti diversi (il lavoro interinale, per esempio). 2 milioni e 200mila sono i co.co.co che spesso hanno mascherato rapporti di lavoro subordinato perché alle aziende non conveniva, da un punto di vista fiscale e contributivo, trasformarli in rapporti di lavoro determinati. Ma così, come ha fatto il pacchetto Treu, si sono lasciati questi lavoratori, soprattutto giovani, in un limbo. Perché questa è una categoria priva di tutele e poco interessante per le organizzazioni sindacali». Ma come? Non è proprio il cavallo di battaglia dell’opposizione accusare il Governo di non garantire le necessarie tutele? «A chi ci muove questa critica – risponde Sestini – io chiedo: qual è l’interesse del lavoratore? Il lavoro. Per la concezione che ho della vita, il lavoro è, prima ancora che un diritto, l’espressione della propria persona. Il primo diritto è, quindi, creare le condizioni attraverso cui ognuno possa esprimere quel che è». Per questo, le innovazioni apportate dal Governo «Non devono sembrare un “inno alla precarietà”. Al contrario, vogliamo creare flessibilità e aiutare le persone a diventare imprenditori di se stesse giocando un ruolo attivo nel proprio impiego. Non è un caso che il 90% degli attuali co.co.co. saranno trasformati in quello che la riforma chiama il “lavoro a progetto”, forma in cui il dipendente sarà coinvolto nella progettualità con l’azienda con cui collabora».

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