Potere non è distruggere, ma dare la vita

Di Mauro Grimoldi
21 Marzo 2022
Cosa fanno gli amici che accolgono i profughi ucraini? Restituiscono qualcosa di quello che la guerra ha tolto loro. Restituiscono un po’ della speranza che la guerra ha tolto loro
Rifugiati ucraini al confine con la Moldovia
Rifugiati ucraini al confine con la Moldovia

Quando il Papa invita a pregare o a digiunare perché cessi la guerra, sembra dire niente. Cosa sarà mai la preghiera di fronte alla potenza distruttiva che agisce in questi giorni?

Quando dichiara che il 25 marzo consacrerà a Maria Ucraina e Russia gli dedicano un breve trafiletto sperduto nelle centinaia di analisi che occupano i quotidiani e i telegiornali.

Persino tra i cristiani, che pure accolgono l’invito del Pontefice, si respira un’aria di impotenza rassegnata. È l’ultima spiaggia: quando fallisce ogni tentativo umano non resta che rivolgersi a Dio, anche se si suppone che non accadrà nulla di risolutivo che rimetta le cose a posto.

Ogni giorno, poco dopo mezzogiorno, uno sparuto gruppo di ragazzi e insegnanti si ritrova in un cantone del cortile di scuola a pregare per russi e ucraini e segnalare, quando ci sono, necessità che li riguardano: famiglie da soccorrere, profughi da ospitare e cose simili.

Ieri vengo a conoscenza che un ragazzo che partecipa quotidianamente a questo semplice gesto ospita a casa sua due famiglie ucraine, otto persone in tutto.

Il pomeriggio stesso incontro nella sede dell’Istituto alberghiero della mia scuola una collega in compagnia di una ragazza che non conosco. Vengo a sapere che si tratta di un’ucraina di diciannove anni, originaria di Kharkov, dove ancora vivono il papà, la mamma e due fratelli maggiori. L’hanno messa, quasi a forza, su di un pullman che l’ha condotta, insieme ad altri sconosciuti sfollati, a Leopoli e da lì in Polonia e infine in Italia. La ospita una famiglia che conosco da una vita; qualche loro figlio frequenta la scuola dove insegno.

Un’ora dopo torno alla sede del mio Istituto e una mia collega mi presenta un ragazzo ucraino, che ospita a casa sua insieme ad altri suoi familiari.

Cosa fanno questi amici nei confronti dell’umanità dolente che accolgono? Restituiscono loro qualcosa di quello che la guerra ha tolto loro. Danno la loro casa, i loro amici, la loro speranza a persone che queste cose le hanno perse, in parte o del tutto. Restituiscono un po’ della vita che la guerra ha tolto loro.

Il Potere non è distruggere, ma restituire quello che pare perduto per sempre. Non è dare la morte, ma dare la vita. Il Potere è Dio, che fa essere quello che altrimenti non ci sarebbe e fa rivivere quello che è morto. È Lui che dà a tutti la vita e il respiro ad ogni cosa. È Dio che salva, portandolo a compimento, quel che parrebbe irrimediabilmente perduto. Anche i morti che giacciono nei campi di battaglia.

Questa umanità nuova, che condivide la propria casa con degli sconosciuti, nasce dalla certezza di Dio, dalla certezza della fede. Partecipa, perciò, del Potere di Dio, collabora alla lotta che Dio compie, già oggi, nel nostro mondo, affinché nulla vada perduto, neppure un capello del capo.

Appartiene alla natura umana l’impeto a soccorrere chi è nel bisogno. Non a caso siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Ma questa natura, esposta come è alla corruzione della morte e del male, non può ritrovare la propria vocazione originale, e con lei la speranza del Destino di vita a cui ognuno è chiamato, senza il sostegno e la certezza della Grazia; Da quella prima volta che la mia grazia è sgorgata per la creazione del mondo. Da sempre che la mia grazia sgorga per la conservazione del mondo. Da quella volta che il sangue di mio figlio è sgorgato per la salvezza del mondo. (Charles Péguy)

Per dubitare del potere della preghiera, cioè di quel che accade quando Dio e l’uomo si incontrano, bisogna non aver alcuna esperienza di Dio, bisogna che Dio non sia Dio, ma l’idea che noi abbiamo di Lui, l’immagine che Lui ci si è costruita.

Come Dante fa dire a Virgilio, la speranza “falla” quando il “priego” è “da Dio… disgiunto”.

Dio non è il Dio dei pensieri, pensati da noi o da altri, ma quello che il Figlio ci ha fatto conoscere, attraverso la sua incarnazione, e che ancora oggi è vivo e presente nella sua Chiesa, il cui segno più vivido è la comunione tra gli uomini.

Essere con il Papa, e con la Chiesa che lo segue, in questa quaresima del mondo, significa rendere ragione della speranza che si è introdotta nella Storia, partecipare alla Resurrezione che Cristo ha portato nel mondo, legarsi alla comunione in cui Egli vive la sua Presenza e da cui sboccia quell’intelligenza e quell’umanità nuova che vince l’impotenza, la paura e l’odio che dilatano la disumanità della guerra fin dentro i capillari della nostra disperanza.

Foto Ansa

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1 commento

  1. SERGIO GALLI

    Bellissimo. Grazie davvero

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