
A Port Said muoiono 74 persone. «L’esercito si è vendicato, hanno chiuso le porte dello stadio»
[internal_video style=”height: 231px; width: 344px; float: left; margin-right: 10px; margin-top: 5px;” vid=24405]A Port Said, Nordest dell’Egitto, al termine della partita tra la squadra locale Al Masri e quella del Cairo Al Ahli, l’1 febbraio, sono morte negli scontri tra tifoserie opposte 74 persone. Ma la rabbia espressa allo stadio dagli ultrà non è solo calcistica e la responsabilità della morte di così tante persone non è solo della follia dei singoli. «La polizia non ha neanche tentato di fermare la violenza» conferma a tempi.it Kristen Chick, inviata al Cairo per il Christian Science Monitor. «La gente stava guardando la partita alla televisione, tutti hanno visto quello che è successo questa volta».
Sarebbero proprio alcune scelte delle forze dell’ordine ad avere aumentato in modo drastico il numero delle vittime: «Quando la gente ha cominciato a scappare, la polizia ha chiuso le porte dello stadio. Questo è uno dei motivi per cui è morta così tanta gente: molti sono rimasti schiacciati, altri calpestati». Le immagini parlano chiaro: mentre le tifoserie fanno invasione di campo e arrivano a scontrarsi la polizia sta a guardare. E un motivo, forse, c’è: «Soprattutto i tifosi dell’Al Ahli, squadra della capitale, hanno partecipato attivamente alla rivoluzione e alle proteste contro l’esercito. C’erano sempre in piazza Tahrir, c’erano durante gli assalti alle ambasciate, c’erano durante le proteste in via Mohammed Mahmoud contro l’esercito e le forze dell’ordine, con cui si sono scontrati spesso». Ovviamente non ci sono «le prove di un atto intenzionale da parte della polizia, ma una vendetta è una spiegazione plausibile. Perché gli agenti sono rimasti fermi? Perché hanno chiuso le porte dello stadio? Perché non hanno controllato all’entrata prima della partita la gente, che portava coltelli e mazze? Nessuno ne può più di esercito e polizia. Il calcio c’entra poco».
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Ieri ci sono state molte proteste al Cairo e a Suez, che hanno aggravato il bilancio delle vittime aggiungendo tre morti e almeno un migliaio di feriti a causa degli scontri tra manifestanti e polizia. In piazza, la gente ha preso di mira il Consiglio supremo delle forze armate che, «non bisogna mai dimenticarlo, detiene ancora il potere in Egitto» aggiunge Chick, che ieri si trovava in piazza al Cairo. «La folla chiedeva le dimissioni di Tantawi, il capo dell’esercito, e del ministro degli Interni. Hanno espresso rabbia anche nei confronti del Parlamento, anche se non si può dire che siano responsabili di quanto avvenuto. Ad ogni modo, la gente si è appostata per protesta davanti al ministero degli Interni, dove si trova tuttora».
Il governo egiziano, guidato all’80 per cento da Fratelli Musulmani e salafiti, ha chiesto le dimissioni del ministro degli Interni, mentre l’esercito ha ordinato quelle del governatore di Port Said e di tutti i vertici della federazione calcistica. «È inutile cacciarli» conclude Chick, «il vero problema è che esercito e polizia, come da tanto tempo ormai in Egitto, non difendono più il popolo. Ci vuole una riforma ma nulla di tutto ciò viene fatto. È per questo che esplode la rabbia, che continuerà anche oggi».
twitter: @LeoneGrotti
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